Sabato 12 giugno (ore 21)al Teatro del Lido di Ostia con ALFREDINO,
di e con Fabio Banfo
e con la regia di Serena Piazza, va in scena franarrazione e rappresentazione, cronaca giornalistica e poesia,
il ricordo commosso di una vicenda tragica che ha segnato l’immaginario collettivo dell’Italia degli anni ’80:
la morte del piccolo Alfredo Rampi, precipitato il 10 giugno 1981 in un pozzo, nonostante i disperati tentativi di salvarlo
nei tre giorni successivi, che fu seguita diretta televisiva non stop da un intero Paese in stato di shock
Effetto Morgana | Centro Teatrale MaMiMò
presentano
ALFREDINO
L’Italia in fondo a un pozzo
di e con Fabio Banfo
regia Serena Piazza
uno spettacolo di Effetto Morgana
produzione Centro Teatrale MaMiMò
Sabato 12 giugno (ore 21)al Teatro del Lido di Ostia con ALFREDINO di e con Fabio Banfo e con la regia di Serena Piazza va in scena il ricordo commosso di Alfredo Rampi, il bambino precipitato il 10 giugno 1981 in un pozzo artesiano di 80 metri nelle campagne di Vermicino, che tutti sono stati convinti fino all’ultimo si sarebbe salvato.
Premiato come miglior spettacolo e miglior drammaturgia Doit Festival di Roma 2017, ALFREDINO racconta una storia che ha sconvolto l’intero Paese con la prima diretta televisiva non stop a reti unificate a coprire un caso di cronaca, un evento mediatico che avrebbe dovuto documentare una storia a lieto fine e che alla fine si è trasformato in uno shock collettivo nazionale. Il primo giornalista accorso sul posto, il venditore di panini che ha lucrato sulla folla accorsa a Vermicino, il presidente Pertini, i robot Mazinga e Goldrake, di cui Alfredino era appassionato, il vigile che per ore ha parlato con lui per cercare di rassicurarlo e infondergli speranza, descrivendogli le trivelle che scavavano un pozzo parallelo a quello in cui era caduto, e che lo terrorizzavano con le loro vibrazioni ed il loro rumore, come se fossero i suoi robot preferiti. E poi Angelo Licheri, scelto per il suo corpo minuto per calarsi in quel pozzo infernale, e che rimase quaranta minuti appeso a testa in giù, a tentare inutilmente di imbracare il bambino e salvarlo. Ma il personaggio centrale è Alfredino, quel bambino perduto, come fosse l’anima dell’Italia, inghiottita dal buio, perduta per sempre, per sempre incastonata in un diamante, come il blocco di ghiaccio azotato in cui fu conservato il suo corpo, prima di recuperarlo dalla tenebra in cui è venuto a mancare a noi tutti.
«Ho cercato di trattare questa vicenda con la massima sensibilità – racconta Fabio Banfo – partendo dalla mia identificazione di bambino (sono nato nel 1975, come lui) e dall’idea che se non fosse caduto in quel pozzo, Alfredino, avrebbe fatto un cammino parallelo al mio, ascoltando la stessa musica, vivendo le stesse esperienze. Ho cercato di curare un poco il dolore con la poesia. Di riportarlo in vita, attraverso di me, con me. Era tutto quello che potevo fare per lui».