La mostra commentata dal grande Sigfrido Oliva
È la prima volta che le incisioni di Rembrandt, pittore fra i più considerevoli del Seicento olandese, varcano la soglia dei Musei Vaticani per una mostra che si potrà visitare fino al 26 febbraio 2017. Le stampe, una cinquantina in tutto fra autoritratti e le storie della Bibbia, costituiscono un utile pretesto per le relazioni tra cattolici e protestanti. Non a caso le opere provengono dal Museo Zarn di Svezia, e dalla Collezione Kremer di Amsterdam. La mostra, infatti, nasce con l’auspicio di ricucire il rapporto tra le due culture, perciò è stata fondamentale la collaborazione delle ambasciate di Svezia e Paesi Bassi presso la Santa Sede e la collaborazione del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani.
Ma a prescindere dalle questioni diplomatiche, la mostra nel suo insieme rappresenta una speciale opportunità per i cultori e per il pubblico che ancora ricordano con emozione la grande mostra allestita nel 2008 alle Scuderie del Quirinale. Come allora, anche oggi l’opera di Rembrandt continua a suscitare la stessa emozione, forse più intensa e viva di otto anni fa. Evidentemente lo spirito delle sue stampe, nonostante i secoli, non è mai invecchiato. Anzi ci seduce ancora a dispetto di quanti oggi, sull’onda di un banale modernismo, fingono di ignorare o disprezzano addirittura il magistero della manualità in arte e la poesia che vi è implicita.
Ecco perché ci piace Rembrandt, perché ci ricorda che la pratica incisoria è un mestiere antico ma sempre nuovo, e perché esige l’intervento delle mani come la tastiera del pianoforte. Per trovare tutto questo ci avviciniamo alle opere esposte in Vaticano, lasciandoci catturare in primo luogo dalla celebre Stampa dei cento fiorini dove il Maestro di Amsterdam, con la complicità del chiaroscuro, accorda alternanze di luce e ombra inedite. Quando la morsura è poco convincente, l’artista riprende a puntasecca la lastra di rame allo scopo di conferire maggiore energia agli effetti chiaroscurali o per accentuare i contorni di una figura. Rembrandt applica questo procedimento a secco per ottenere un fittissimo reticolo di segni, un reticolato che per decifrarlo occorre l’aiuto di una lente d’ingrandimento.
In tutte le stampe della mostra, se analizzate una a una, si scopre che i segni sono a volte arruffati, cespugliosi, altre volte si presentano più distanziati, come per concedere un po’ di respiro al gioco energico e vitale del chiaroscuro. In Cristo che guarisce i malati, acquaforte di grande impatto emotivo, si nota una sequenza ininterrotta di segni ottenuti a secco, come nelle altre stampe. La differenza è che qui si avverte un maggior senso di pietà che insieme è tenerezza per gli infelici, per i sofferenti e gli umili, i quali affollano parimenti il mondo e l’opera di Rembrandt.
Sigfrido Oliva