La galleria dell’italiano Rocco Orlacchio inaugura la mostra No man’s land prima personale dell’artista Rim Battal. Vernissage il 21 febbraio 2015.
Una resistenza estetica, una denuncia sociale, una lotta che impugna le armi del sapere per setacciare la realtà, per disegnare un elettrocardiogramma creativo le cui linee mostrano gli aspetti di un territorio chiuso sempre più aperto alla contaminazione culturale e ad un percorso (ad un processo) postcoloniale che sfoggia tutte le sue derive umane, tutti i suoi collassi sociali, tutte le sue brucianti problematiche socioantropologiche. Il lavoro di Rim Battal (Casablanca, 1987) punta l’indice su difficoltà realmente esistenti con lo scopo di costruire un fascicolo polifunzionale che colpisce il luogo comune e lascia emergere la chiara volontà di segnalare lo stato delle cose attuali, di criticare le egemonie istituzionali e di rivelare i vari volti del potere, del tabù pubblico e di una tradizione assillante, soffocante, appressante.
Dalle contraddizioni della storia contemporanea alla rilettura della geografia, dal paesaggio politico alla condizione femminile, dalla ritualità (e dalla credenza) popolare alla lucida analisi di un modello sociale che si regge sulla – davvero inaccettabile – dominazione maschile, il lavoro di Battal analizza le numerose contraddizioni del panorama marocchino per concepire opere multidisciplinari che accostano il mondo dell’arte a quello della vita quotidiana e concepire in questo modo un energico programma meditativo, un progetto d’inchiesta in progress, un reportage raggelante e pungente che pone luce sull’assenza della libertà, sulla mancanza dell’uguaglianza, sui flagelli prodotti dalla (in)civiltà. Il suo lavoro è quello di una inviata speciale nella realtà, di una cronista che descrive, documenta, riferisce, espone – con il compasso dell’arte – le mille tensioni della vita. Mossa dal desiderio di creare un riscatto, un equilibrio necessario a produrre parità, a plasmare un’isola felice per il prossimo futuro, l’artista attraversa il pubblico e il privato per dar luogo ad un programma bipolare che, se da una parte ferisce lo spettatore con una frusta comunicativa che esprime i dolori della donna in età contemporanea, dall’altra crea una passerella polilinguistica dove le distinzioni si fondono e si confondono in un rapporto fluido di tutti i modi di espressione. Così se da un versante la ritmica letteraria scorre come un fiume policonico per concedersi paradossalmente allo scatto fotografico – è il caso del progetto intitolato La a s d’un voyage de femmes in cui l’artista costruisce un n ss m n m d a – e offrire al popolo dell’arte un contesto formale rizomatico (la cui rizomaticità assorbe varie compagini locutive) dall’altro il mondo dell’immagine inghiotte la scrittura per rappresentare i punti d’arresto della libertà e dell’uguaglianza.
Grazie all’utilizzo di diverse forme che si contaminano a vicenda per progettare un corpus totale e totalizzante, Rim Battal modella, infatti, un nucleo che non solo incrocia tempi e temi differenti ma adotta anche un modello le cui scoperte, acquisizioni e (piene) consapevolezze analizzano i nessi strutturali dei diritti femminili (e dei diritti umani in generale) «perché», per dirla con Hannah Arendt, «non sono in gioco», nel suo itinerario estetico, soltanto «il sapere o la verità, bensì il giudizio e la decisione» del singolo che riversano sulla piattaforma della specie. Del resto, «lo scambio di giudizi d’opinione incide sulla sfera della vita pubblica e del costume, la decisione sul tipo di comportamento da tenere, nonché sul modo di vedere il mondo a venire e le cose che vi dovranno trovar posto» (H. Arendt, Between Present and Future: Six Essays in Political Thought, The Viking Press, New York 1961).
Con No man’s land, la sua prima personale negli spazi della Voice Gallery, Rim Battal propone, ora, un ventaglio di opere che sintetizzano il suo percorso e disegnano un viaggio che si apre con due ritratti atipici della serie Mariage(s), seguiti da una parete che raccoglie schizzi, appunti, segni, materiali minimi e preziosi legati ad un palinsesto di opere la cui delicatezza coniuga la categoria etica a quella estetica, il vocabolario cartografico a quello del corpo femminile. Accanto a Parfois je mens, parfois je dis la / Sometimes I lie, sometimes I tell the truth, lavoro presentato per la prima volta al Musée d’Art Contemporain MVI de Rabat, quattro importanti installazioni fotografiche (Maryam, Îzza, Qods e 7 wa’a2) immergono lo spettatore in una terra del rimorso, in un’atmosfera che illustra un «parallel between the woman’s body and a colonized land» « Rim Battal » per focalizzare l’attenzione su un territorio – umano e geografico – da riconsiderare, da rispettare, da adorare.
Antonello Tolve
Rim Battal I NO MAN’S LAND
opening: sabato 21 febbraio 2015 dalle h 18,30
esposizione: dal 23 febbraio al 2 maggio 2015