“Non tutto è numericamente misurabile. Ed è difficile, probabilmente impossibile, calcolare il dolore, l’amicizia, il silenzio, l’inquietante solitudine di certe sere, la dignità. Siamo sempre più connessi, ma anche sempre più isolati, disorientati, impotenti, incapaci di distinguere tra reale e virtuale, privati dei corpi, delle smorfie, delle occhiate in una socialità fredda, simulata, finta”. Franco Ferrarotti – scomparso oggi 13 novembre 2024 – prima cattedra di Sociologia in Italia, fa il punto sulla sua disciplina nella forma di una Lettera a un giovane sociologo, una sorta di testamento spirituale in libreria il 22 novembre per le edizioni Bibliotheka (40 pagine, 12 euro). La sociologia – afferma l’autore – è vittima del suo successo. Si è proposta come facile rimedio per studiosi sfortunati in altri campi. Nei casi migliori è divenuta giornalismo investigativo. In ogni caso, tende a perdere la visione d’insieme del sociale e la capacità di interconnettere in modo creativo i suoi vari aspetti.I sociologi odierni, probabilmente sotto la pressione del mercato, hanno perso l’ancoraggio con le basi filosofiche da cui è nata la loro disciplina, non hanno tempo per riflettere sui loro testi classici, non sembrano avere interesse per costruire una tradizione sociologica in senso proprio. Per queste ragioni è plausibile che sfugga un aspetto essenziale: nella natura ibrida della sociologia non risiede il limite, ma il primato di questa disciplina, la cui ottica è in grado di “afferrare” il reciproco condizionamento dei vari aspetti del sociale.
Franco Ferrarotti (Palazzolo Vercellese, 7 aprile 1926 – 13 novembre 2024). Professore emerito all’Università di Roma «La Sapienza», Ferrarotti ha diretto la rivista La Critica sociologica. È stato collaboratore di Adriano Olivetti, deputato indipendente al Parlamento italiano dal 1958 al 1963 e tra i fondatori, a Ginevra, del Consiglio dei Comuni d’Europa. Ha insegnato a Chicago, Boston, New York, Toronto, Mosca, Varsavia, Colonia, Parigi, Tokyo e Gerusalemme.