È forte e solare Anna Crispino, cantante e arte terapeuta, moglie di Carlo Delle Piane, nel ricordare l’uomo che ha amato. Così si chiama il libro che ha scritto, edito da Martin Eden “Carlo delle Piane, l’uomo che ho amato”. Settant’anni di cinema, da De Sica a Totò, da Fabrizi a Olmi fino a Pupi Avati, eppure della sua vita personale si è sempre saputo ben poco.

Anna Crispino con Michele Suma durante la presentazione del libro

Michele Suma, direttore del Sudestival, apre la presentazione del libro, nel programma di Pop Corn Festival, ricordando un messaggio che Pupi Avati stamani ha inviato ad Anna per ringraziarla di essere stata vicino a Carlo nel momento più delicato della sua vita. “È una dimenticanza facile quella del mondo del cinema nei confronti di Carlo delle Piane – commenta Michele Suma – e noi invece vogliamo ricordarlo: abbiamo istituito da tre anni il premio “Apulia Film Commission Carlo Delle Piane”.

Anna ricostruisce il ritratto di un Delle Piane privato che solo lei potrebbe descrivere, con le sue fobie ed ossessioni, l’opposto di quel che appare in scena, il contrario del Delle Piane che in “Noi tre”, di Pupi Avati, fa un monologo sul significato del mangiare la terra e la mangia davvero, in una scena che lui stesso ha voluto ripetere molte volte.

“I libri riempiono dei vuoti – commenta Suma – e questo libro di Anna riempie il vuoto del mistero della vita privata di Carlo delle Piane”. Una vita di solitudine nonostante i suoi successi lavorativi, fino appunto all’incontro con Anna, in un luogo “altro”, al Santa Maria della Pietà: lui lì per girare un film per raccontare l’Alzheimer, lei lì per lavorare come arte terapeuta con i malati di Alzheimer, la malattia che fa saltare il tempo e i ricordi. Ed è proprio un salto nel tempo l’incontro tra Anna e Carlo: il salto tra generazioni diverse che si incontrano, si scoprono, imparano a conoscersi e ad amarsi, fino a sposarsi. Lui, settantenne, che finalmente trova il coraggio di fidarsi e di lasciarsi amare, lei, 35enne, che trova dentro di sé un amore talmente grande da sopportare tutte le limitazioni dovute alle fobie di Carlo, tanto maturo da sostenere le infinite attese.

Scrive Anna: “Guardando indietro, se dovessi trovare una costante nella nostra relazione, sarebbe sicuramente l’attesa. Carlo era un uomo dai tempi biblici. Bisognava attenderlo quando andava in bagno o quando si preparava per uscire, con quella consapevolezza che i minuti che sarebbero passati erano una vera e propria incognita. L’esperienza dell’attesa l’ho sempre vissuta come una vocazione. Attendere è aspettare e aspettare è guardare: guardare l’altro e aspettare di essere guardati. E quando il mio sguardo si è incrociato con quello di Carlo ho sentito che era capace di tenermi con gli occhi prima che con le parole. Il suo sguardo è stato un viaggio verso la profondità nascosta. Non era un limitarsi a guardarsi negli occhi, era andare al di là di ciò che era tangibile. Gli occhi sono così importanti nel creare relazioni umane nutrite di gentilezza e di tenerezza. Occhi pieni di stupore sono quelli che ho incontrato in Carlo, accogliendo le nostre fragilità che sono diventate i nostri tesori. Guardarsi negli occhi è già ascoltarsi e ascoltare”.

Nella prefazione del libro, Pupi Avati, che ha sottratto Carlo Delle Piane ai ruoli secondari e ha dato lui i ruoli importanti (fu il fratello Antonio il primo a intravederne le potenzialità e a convincere Pupi a dare una chance a Delle Piane) scrive: “mi è difficile immaginare un interprete che abbia saputo cogliere di alcuni personaggi la vulnerabilità, la fragilità del mondo e delle cose, che Carlo seppe restituirmi sullo schermo”. Fragilità che sono state il banco sul quale Anna ha dovuto misurarsi ogni giorno, con amore. “Una parte di me – spiega durante la presentazione del libro – si chiede come abbia fatto a stare in una relazione così complessa, così impegnativa e con tanta dedizione. Quando si cede al sentimento, si ama così come è. Gli ho dedicato sicuramente un bel pezzo della mia vita”.

Anna snocciola tutta una serie di ricordi, aneddoti e coincidenze, da quella volta a Milano quando un tassista lo scambiò per suo padre e lui rispose “No, suo nonno”, alle cattiverie della gente che non capiva una relazione con quaranta anni di differenza, alla immediata comprensione di Pupi Avati e Franco Battiato che, “sin dal primo incontro, hanno riconosciuto la verità del sentimento che ci legava. Non che io avessi bisogno che gli altri lo riconoscessero però, purtroppo, viviamo in un mondo di pregiudizi. La prima domanda che mi facevano nelle interviste era se volevo fare l’attrice. No, rispondevo, non voglio fare l’attrice”.

Se Carlo non fosse ritornato al Santa Maria della Pietà a riprendere il bigliettino con sopra scritto il numero di telefono di Anna – bigliettino che aveva dimenticato sul davanzale della finestra per la sua ossessione di non toccare le cose – o se le signore delle pulizie lo avessero buttato, forse le loro vite sarebbero andate diversamente. Destino degli incontri? Anna pensa di si: “La vita è veramente un mistero, ci sorprende sempre se abbiamo la giusta predisposizione nell’accogliere le cose, se abbiamo fede anche nei momenti difficili come quelli della sofferenza. Bisogna benedire la sofferenza”.

“L’amore – scrive – è un fiume che segue il suo corso. Spesso i nostri atteggiamenti di fronte all’amore sono legati alla nostra infanzia. Se faccio riferimento alla mia, ho atteso Il ritorno di mia madre e del suo amore anche sapendo che non sarebbe tornato mai. Ma poi mi è venuta in soccorso la speranza che mi ha spalancato un avvenire e mi ha insegnato ad allontanarmi dal presente e a confidare del futuro. Ho amato la gentilezza di Carlo impastata di leggerezza, ho amato le sue pause, i suoi silenzi che erano anche i miei. Senza far rumore c’era. La sua assenza è diventata presenza piena piena.”

Una vita non facile, ma preziosa. “Una volta andammo in un hotel per un festival e il direttore era cosi preoccupato per le continue telefonate di Carlo che trovammo gli asciugamani impacchettati tre volte, quasi non riuscivamo ad aprirli. Ogni volta che entrava in una stanza di albergo, lui passava ore a pulire tutto, persino le grucce. Io me ne uscivo e lo lasciavo fare. L’attesa è proprio un mio tema. Nasce dalla esperienza mia di bambina, ma se non avessi vissuto il dolore di attendere il ritorno di mia madre forse non sarei stata capace di vivere l’esperienza con Carlo. La sua umiltà, la sua onestà, la sua purezza mi hanno sempre incantato. Con il tempo, ho anche imparato a riempire l’attesa ed a trasformarla in uno spazio nutritivo per me”.

Anna Maria De Luca

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