Al teatro Argentina, bravissima, Anna Della Rosa nel “ribaltamento teatrale” di uno dei libri più letti in Italia negli ultimi anni (Einaudi 2009; vincitore Premio Campiello 2010): Accabadora. Emozionante nella tensione con cui interpreta il ruolo di Maria, la palpitante protagonista del monologo che ripercorre la storia d’amore con la propria madre adottiva, personaggio alquanto complesso, una donna d’amore che accompagna le persone a morire.
«Acabar», in spagnolo, significa finire. E in sardo «accabadora» è colei che finisce. Agli occhi della comunità il suo non è il gesto di un’assassina, ma quello amorevole e pietoso di chi aiuta il destino a compiersi. È lei l’ultima madre che ritorna in scena e conquista il pubblico di Roma, con la riduzione a monologo deli romanzo di Michela Murgia edito da Giulio Einaudi Editore, tradotto in numerose lingue, tra cui inglese e cinese.
Secondo la tradizione sarda, l’accabadora era una donna che nei secoli passati si incaricava di praticare l’eutanasia ai malati senza più possibilità di essere curati, su richiesta dei familiari o della vittima stessa. Entrava nella stanza del morente vestita di nero, con il volto coperto, e soffocava il malato con un cuscino oppure strangolandolo (secondo altre versioni, con un colpo, secco e fatale, con un martello o bastone di legno d’ulivo (su matzolu).
Michela Murgia racconta una storia ambientata in un paesino immaginario della Sardegna, dove Maria, all’età di sei anni, viene data a fill’e anima a Bonaria Urrai, una sarta che vive sola e che all’occasione fa l’accabadora. La parola, di tradizione sarda, prende la radice dallo spagnolo acabar che significa finire, uccidere; Bonaria Urrai aiuta le persone in fin di vita a morire. Maria cresce nell’ammirazione di questa nuova madre, più colta e più attenta della precedente, fino al giorno in cui scopre la sua vera natura. È allora che fugge nel continente per cambiare vita e dimenticare il passato, ma pochi anni dopo torna sul letto di morte della Tzia. È a questo punto della storia che comincia il testo teatrale. Maria è ormai una donna, o vorrebbe esserlo. Ma la permanenza sul letto di morte della Tzia mette in dubbio tutte le sue certezze.
Il racconto originale della Murgia è in terza persona ed è molto dialogato, mentre sul palco dell’Argentina diventa il racconto che Maria fa della propria vita nel momento in cui torna a casa, a Soreni, a fare i conti con la mamma Tzia Bonaria Urria che è sul letto di morte. Dopo aver passato la vita ad accompagnare tante persone a morire, ora tocca a lei.
La drammaturgia di Carlotta Corradi parte proprio dal ritorno di Maria sul letto di morte di Tzia Bonaria. Un omaggio alla Murgia (scomparsa ad agosto scorso e che avrebbe compiuto in questi giorni 52 anni), drammaturgia di Carlotta Corradi su richiesta della regista Veronica Cruciani che da subito ha pensato di farne un monologo partendo dal punto di vista di Maria, la figlia di Bonaria Urrai l’accabadora di Soreni. Una scelta difficile, quella del monologo, ma che Anna Della Rosa riesce a sostenere in pieno, per tutto lo spettacolo, senza dar mai luogo a cali di attenzione da parte del pubblico.
Anna Della Rosa la ricordiamo al cinema (2014 “In guerra” regia di Davide Sibaldi, 2012 “La grande bellezza” (ruolo Ragazza Esangue) regia di P.Sorrentino, 2006 “Il giorno più bello” regia di Massimo Cappelli), ma anche nelle pubblicità tv di Tiscali. Sly, Warnerbros, Radio 105.
La scena è vuota, ci pensa il racconto di Anna Della Rosa a riempirla di tensione ed intensità, sottolineata dalla regia delle luci, particolarmente evidente nella scena finale quando Maria si veste tutta di nero, come Tzia, per accompagnarla a morire e solo le sue mani risaltano di bianco.
Scrive la Cruciani nelle note di regia: “Da subito ho immaginato il dialogo tra Maria e Tzia Bonaria come un dialogo tra sé e una parte di sé, tra una figlia e il suo genitore interiore. Per questo ho voluto realizzare uno spazio astratto, mentale, nel quale Maria cerca di rielaborare la morte della madre adottiva. Ciò darà origine ad un conflitto tra due aspetti di Maria: la parte rimasta bambina e la parte che deve diventare adulta. Il video mi ha permesso di rendere visibile le dinamiche emotive e relazionali tra queste due parti. La pedana sospesa crea una divisione tra l’attrice e il pubblico, è la gabbia mentale in cui Maria è intrappolata e di cui riuscirà a liberarsi soltanto alla fine, compiendo il fatidico gesto richiesto dalla madre”.
C’è un tempo di separazione tra le due donne che pesa in questo incontro. La verità, la rabbia che la ragazza ancora prova per il tradimento subito dalla Tzia viene a galla prepotentemente, nonostante gli sforzi che Maria compie per galleggiare tra i migliori ricordi dell’infanzia accanto alla lunga gonna nera della Tzia.
Anna Maria De Luca