Segnaliamo ai nostri lettori due film di particolare importanza che abbiamo scoperto durante Luso!, la Mostra itinerante del nuovo cinema portoghese che si è tenuta al Farnese il 30 e il 31 maggio: “Capitani d’Aprile”, con Stefano Accorsi, e “Appena vivere” di João Canijo.
Regista, sceneggiatrice e attrice del primo è Maria de Medeiros, già icona di Pulp Fiction di Quentin Tarantino. “Capitani d’Aprile” racconta la Rivoluzione dei Garofani, avvenuta tra il 24 e il 25 aprile 1974. Accorsi dà il meglio di sé nel ruolo del protagonista che fa la rivoluzione perché ci crede, rischia la vita. convince gli altri militari ed il popolo ma pii, una volta realizzata, viene messo da parte senza alcuna gratitudine o merito.
E’ una pagina di storia pressocché sconosciuta in Italia. Siamo in Portogallo, nel regime del dopo Salazar: un Paese con il 30 per cento di analfabeti, impoverito dalle guerre in Mozambico, Angola e Guinea. Un gruppo di giovani ufficiali decide di rovesciare il regime totalitario portoghese: “Há momentos em que a única soluçao é desobedecer (C’è un momento in cui l’unica soluzione è disobbedire)”. Come? Con un colpo di Stato senza spargimenti di sangue, il 25 Aprile 1974: “A Revolução dos cravos” (La rivoluzione dei garofani). Film poetico, realistico, che racconta la delusione anche nella vittoria. Da vedere. Ritmo intenso, camera a mano nelle scene concitate, carrelli per gli eserciti, panoramiche per raccontare l’approvazione del popolo, una narrazione diametralmente opposta a quella del secondo film di cui vi vogliamo parlare oggi, “Appena vivere” di João Canijo, film vincitore dell’Orso d’Argento al Festival di Berlino 2023, interpretato da Anabela Moreira e Rita Blanco.
Una storia piscanalitica che racconta il mondo femminile di cinque donne, costrette a vivere insieme in un hotel sull’orlo della rovina. In modo intimistico, la camera indaga e racconta le loro relazioni complesse, raccontate in un tempo lento, il tempo dell’anima, nel vuoto d’amore che ognuna si porta dentro. Un film che racconta bene l’angoscia, la violenza femminile del matriarcato, antichi conflitti senza soluzione, da vedere. Un film che il regista stesso definisce “un esperimento su Strindberg…tre generazioni di donne che cadono vittime dell’ansia della propria madre: l’ansia della nonna l’ha resa incapace di fare la madre con sua figlia che a sua volta è diventata una cattiva madre per sua nipote. Il mio è un film sull’ansia dell’essere madri e di come questa vada a minare la capacità di amare incondizionatamente“. “È una storia senza fine e non ci sono famiglie funzionali ma solo disfunzionali – continua Canijo – è vero quel che dice Tolstoj: Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice, è infelice a modo suo“.