Oltre cento anni fa nasceva la Repubblica di Weimar, punto di riferimento per la storia contemporanea: arti, pensiero, politica. Difficile raccontarla, però, sottraendosi al clamore della fine, imposta dal nazismo quattordici anni dopo la sua concitata esistenza. Al Teatro Vascello, dal 22 al 24 aprile, va in scena la trilogia di spettacoli Kabarett Weimar che ne evoca il mood tutto speciale, addentrandosi nelle arie dei caffè, nel vivo dei kabarett, per ascoltarne gli umori: da canzoni, provocazioni dada, witz, testi celebri e reportage d’autore erompono le emergenze della modernità. A partire dalle rivendicazioni della Donna.
Il progetto è firmato da Bruno Maccallini e Antonella Ottai e vede la regia di quest’ultimo per i tre spettacoli; le musiche originali sono di Pino Cangialosi.
Si inizia il 22 aprile con DIVA. UNA SINFONIA PER WEIMAR, drammaturgia concepita da Antonella Ottai che rende omaggio alla complessità del periodo, ricordandone alcuni dei punti salienti e dei personaggi più significativi. Si affida perciò a un personaggio immaginario, nel quale prende consistenza una figura determinante, DIVA, la Nuova Donna. In lei confluiscono le tante diverse performance di cantanti, attrici, poete e personalità varie che in tutti i campi stavano rivoluzionando l’immagine del femminile, tra le quali si possono ricordare, da Else Laske-Schüler a Valeska Gert: DIVA le riassume tutte, sostenuta dall’accompagnamento di una colonna sonora che spazia dal repertorio popolare all’avanguardia e coordinata da un gioco registico all’insegna dell’irriverenza.
Dopo una storia corale, il 23 aprile è di scena STASERA HO DECISO DI VENIRMI A TROVARE, una narrazione monografica che narra la storia di Fritz Grünbaum, autore e cabarettista ebreo, che si intrattiene in scena con il suo alter ego comico. Vienna gli ha dedicato un monumento; Bruno Maccallini gli dedica un omaggio raffinato e affettuoso, mettendo in luce la lotta tra il comico e gli eventi storici, intersecando la sua funambolica interpretazione con gli interventi musicali dal vivo della giovane musicista Livia Cangialosi
In chiusura, il 24 aprile si propone GROTESK!, uno spettacolo ispirato agli artisti del cabaret berlinese degli anni ’20 e ’30 e che vede protagonista un conferenziere dallo humour nero – mago, comico e cantante – che sfida il regime nazista fino a esserne inghiottito ma che continuerà a portare i suoi sberleffi persino nei lager dove lo internano, contendendo l’ultima risata ai suoi carnefici. Un “one man show” dello stesso Maccallini che mescola tragedia ed esilarante comicità, con azioni a sorpresa ed una partitura sonora dal vivo che riflette l’atmosfera di Weimar. Lo spettacolo è tratto dal libro di Antonella Ottai “Ridere rende liberi” (Quodlibet ed.), incentrato sull’arte e la sorte di artisti del teatro leggero segnati inesorabilmente dall’avvento di Hitler al potere.
Agli spettacoli del 23 e 24 aprile sono infine abbinate due Masterclass del Laboratorio “Una risata allunga al vita”, in corso al Goethe Institut Rom. Si tratta di Barzellette, con Massimo Wertmuller (23) e Risate di Gioia con Elena Bucci e Marco Sgrosso (24), entrambe in programma nella sala grande del Teatro Vascello alle ore 19:00.
Gli spettacoli iniziano alle ore 21:00; il biglietto per spettacolo, al costo di € 15,00 (€12.00 riservato agli over 65), è acquistabile direttamente al botteghino o su Vivaticket.it. Esiste anche la possibilità di un abbonamento all’intera trilogia al costo di € 30,00.
Maggiori informazioni e dettagli al sito https://www.teatrovascello.it/
Kabarett Weimar è un’iniziativa prodotta dalla Società per Attori e realizzata in collaborazione con il Goethe Institut Rom e il Teatro Vascello.
DIVA
C’era una volta la Repubblica di Weimar. Dotata di una costituzione avanzatissima in tema di democrazia e diritti sociali, conobbe una esistenza politica molto accidentata, spesa fra la tempesta delle origini e l’abisso in cui si trovò a sprofondare. La sua breve storia è una parabola da più parti ancora evocata per ammonire su come, nelle luci di una comunità socialmente avanzata, siano sempre in agguato le ombre della barbarie. Ma se questo è oggetto di una discussione ancora attuale, rimane fuor di ogni dubbio che, dal punto di vista culturale, l’epoca di Weimar sia stata fra le più brillanti mai conosciute e che il suo campo sperimentale abbia investito ogni settore dello scibile umano, dalle arti tutte alle scienze al costume politico e sociale.
DIVA Una sinfonia per Weimar rende un contenuto omaggio a questa complessità, ricordandone alcuni dei punti salienti e dei personaggi più significativi. Si affida perciò a un personaggio immaginario, nel quale prende consistenza una figura determinante, DIVA, la Nuova Donna. In lei confluiscono le diverse performance di cantanti, attrici, poete e personalità varie che in tutti i campi stavano rivoluzionando l’immagine del femminile; si tratti di liriche come la Else Laske-Schüler, di interpreti come la Waldoff, di attrici come la Dietrich, di danzatrici come la Anita Berber e la Valeska Gert, DIVA le riassume tutte.
Nello spettacolo, come scena elettiva di queste disparate protagoniste – ma anche di altri celebri esponenti dello spirito di Weimar, drammaturghi, giornalisti, cabarettisti non meno che maghi – è stato scelto uno dei caffè più celebri e celebrati della Berlino degli anni venti, il Romanisches Café, che storicamente rappresentò un luogo di ritrovo intellettuale di carattere internazionale. Il suo capocameriere, Karl – confidente e amico personale di molti dei protagonisti del nostro racconto – accompagna e sostiene con le sue battute DIVA e, allo stesso tempo, ci offe un “dietro le quinte” di quanto ogni giorno animava il palcoscenico della capitale.
Se DIVA interpretata da Chiara Bonome è il corpo performativo dello spettacolo, il personaggio Karl di Bruno Maccallini ne è il narratore. E il maestro di cerimonie. Mutatis mutandis, una sorta di Ridolfo della goldoniana Bottega del caffè.
Non a caso, performance e racconto si svolgono in un caffè, luogo di transiti senza altra cittadinanza che non sia quella dispensata dalle arti e dalla cultura, dove l’impermanenza diventa “stato vitale”. Reduci dal disastro comune della grande guerra, profughi dalle rivoluzioni che avevano dato lo scossone finale agli imperi, rifugiati politici, viaggiatori curiosi del nuovo o inviati speciali, per tutti Berlino era sede di passaggi e di incontri fra i più significativi del novecento.
A interpretare questo particolarissimo mood, rimane fondamentale anche la parte musicale, affidata al pianista Pino Cangialosi, spaziando fra popolare e avanguardia, creando relazioni stimolanti con le parole della poesia come del divertissement. La musica d’altronde è stata sempre protagonista tanto delle sperimentazioni strumentali più audaci quanto del cabaret e delle piccole scene. Né si è tirata mai indietro quando si trattava di affrontare i nuovi media, la radio o il cinema sonoro.
Attraverso una selezione di autori – da Brecht a Klabund, da Lasker-Schüler a Tucholsky, da Hollaender a Weill, da Eisner a Grünbaum – e di opere – poesie, song, brani orchestrali e brani satirici di cabaret – lo spettacolo attraversa alcune delle tematiche centrali in quegli anni, il rifiuto del militarismo e delle guerra, l’immagine del femminile e la rivoluzione dei comportamenti sessuali, le sperimentazione artistiche d’avanguardia, la minaccia della disoccupazione, il razzismo crescente e la ricerca di un capro espiatorio che pagasse le colpe di una situazione economica che, dopo il ’29, era diventata insostenibile.
Per l’informazione più propriamente storica, necessaria a comprendere meglio alcuni degli aspetti satirici dello spettacolo, lavorano in scena gli stessi elementi che hanno visto la luce proprio nei teatri della repubblica di Weimar, i cartelli didascalici di brechtiana memoria e le proiezioni cinematografiche (brevi documenti filmati) di piscatoriana memoria.
Un modo per ricordarci di una storia che è stata, ed è, profondamente europea.
STASERA HO DECISO DI VENIRMI A TROVARE
«Prima di affrontare il pubblico, Io, il Grünbaum, parlo sempre con me stesso: non è che parlo da solo, parlo con l’altro me ed è proprio lui che si beve tutto il fiele che mi esce fuori. Perché? Il fatto è che il mio dentro è arrabbiato con il mio fuori.»
Così, litigando con sé stesso, Fritz Grünbaum, autore, librettista e cabarettista austriaco di famiglia ebraica, fra i più salaci e irriverenti del secolo trascorso, per oltre trenta anni ha intrattenuto con sketch riviste operette il pubblico di Vienna e di Berlino, prima che il nazismo silenziasse in un colpo solo il doppio personaggio a cui aveva dato vita albergandolo in un unico corpo. D’altra parte essere feroce con il proprio io, al punto da considerarsi divorziato da sé stesso, gli consente di esserlo ancora di più con l’epoca storica in cui si trova ad operare e di affrontare con disinvolta irriverenza i suoi contemporanei più illustri. Dotato degli accenti e delle tematiche tipiche dell’umorismo ebraico, Grünbaum assume a cifra della sua scena comica la struttura del doppio creando così non solo una straordinaria sintonia con lo spirito del tempo, ma riuscendo a conferire agli enunciati di Freud o di Einstein, per citare i riferimenti più celebri in cui incorrono i suoi sketch, la formula aurea del paradosso comico. Così come sprofonda nel non senso il delirio politico che individui come Hitler o il generalissimo Franco stanno agitando sulla scena internazionale. Se non fossero bastate le sue origini ebraiche, non appena invasa l’Austria, a questi affronti il nazismo non mancherà di presentare il conto, internandolo nei lager dove troverà la morte.
Attraversarne il crescendo nell’ampio repertorio dell’artista provoca non solo la risata amara nei confronti di un grande racconto storico consegnatoci dallo sguardo – anzi dai due sguardi sempre divergenti – di chi ne è stato acuto osservatore, ma lascia scoprire anche il valore, assolutamente attuale, della lotta fra l’eversione del comico e l’inesorabilità degli eventi.
Così, in STASERA HO DECISO DI VENIRMI A TROVARE… Per fare due chiacchiere con me stesso, a Bruno Maccallini spetta il compito di interpretare la dialettica dello sdoppiamento appoggiandosi in scena ai dispostivi di riproduzione tecnica della persona che, nati anch’essi nel tempo che fu di Grünbaum, moltiplicano le sue presenze, traducendo il gioco delle parti nel gioco degli specchi e delle loro rifrazioni. In scena con lui la musicista e cantante Livia Cangialosi.
GROTESK!
Berlino, Repubblica di Weimer: la metropoli del futuro! Dalle immagini che raccontano la sua prorompente vitalità in scena si riversa, come per magia, un personaggio in carne e ossa: Grotesk.
Un po’ mago, un po’ chansonnier, un po’ presentatore alla “Cabaret” di Bob Fosse, ispirato ai tanti artisti che resero leggendario il cabaret berlinese degli anni Venti-Trenta, Grotesk è un provocatore irriverente, esperto della risata e del paradosso, dello sberleffo satirico. Mentre la capitale tedesca sprofonda nel nazismo e le stelle della comicità ebrea sono imprigionate nei campi, lui con humour inossidabile non smette mai di aggredire il comune buonsenso, di denunciarne il vuoto che nasconde, affacciandosi sul baratro spalancato dal regime finché non è a sua volta inghiottito.
Bruno Maccallini – sul palco con tre musicisti – è l’interprete di un autentico di GROTESK! Ridere rende liberi, un one man show: novanta minuti, tragici, esilaranti, affascinanti in cui dà vita a un personaggio dal pungente humour agro, caratteristica preponderante che ha contribuito a fare del Kabarett berlinese uno spazio di profonda libertà e critica sociale. Maccallini ha curato la regia e firmato il testo con Antonella Ottai, autrice del libro “Ridere rende liberi. Comici nei campi nazisti” (Quodet ed.).
Grotesk aggredisce il pubblico con le contestazioni radicali di Walther Mehring, lo spiazza attraverso i paradossi del grande Kurt Tucholsky, lo blandisce al suono delle musiche di Kurt Weill e Friedrich Hollaender. Il Nostro vive gli anni ruggenti in cui la scena del Kabarett rivela sempre più il volto d’una Germania democratica, radicale e antimilitarista. E li vive tutti, dall’inizio tempestoso al disastro finale, mentre il sogno di un futuro scivola nell’incubo del nazismo. Che non potrà spegnere il suono irriverente della sua risata, ma ne confinerà drasticamente il territorio.
Da sempre attratto dagli spettacoli di Kabarett della Berlino degli anni Venti-Trenta in tutti i suoi aspetti, dall’intrattenimento alla satira socio-politica, Bruno Maccallini si avvale in scena della preziosa collaborazione di Pino Cangialosi al pianoforte, fagotto, percussioni e fisarmonica, di Stefano Costantini alla tromba e di Flavio Cangialosi al contrabbasso.