È in libreria da lunedì 26 febbraio il romanzo Fucile di Odile Cornuz, scrittrice svizzera di lingua francese: racconto sottile e originale di una storia di violenza psicologica all’interno di una relazione e di una famiglia.
Pubblicato da Gabriele Capelli Editore, con traduzione di Carlotta Bernardoni-Jaquinta, Fucile racconta di una donna, separata con una figlia piccola, che accetta di sposare un uomo e di riprovare a vivere una relazione duratura. La storia è ambientata nella Svizzera francese dei primi anni ‘90 ma potrebbe essere in un altro luogo e in un’altra epoca: il racconto è finemente simbolico, volutamente povero di riferimenti spazio-temporali per rappresentare una storia più possibile universale.
La vita della coppia e della famiglia procede negli anni, la fiamma iniziale si normalizza in una dimensione quotidiana: cura della casa, piccole gite, scelte lavorative, giochi col cane. Ma gradualmente, col passare del tempo e delle pagine, si insinua una sottile tensione, che poco a poco cresce fino a trasformarsi in paura: la donna e la figlia si ritrovano a temere che lui si arrabbi, si muovono in punta di piedi per non provocare reazioni minacciose, assistono a esplosioni di rabbia imprevedibili e spropositate. Odile Cornuz crea un racconto sobrio e attento, seppur non privo di affondi concreti e potenti, e sceglie di non dare nome ai protagonisti, che chiama “la donna”, “l’uomo”, “la bambina”. Lascia che i personaggi restino dei “tipi”, per permettere ai lettori di interrogarsi su quanto le storie e i ruoli dei protagonisti rispecchino le loro, anche solo in parte.
La narrazione avanza a episodi, ogni episodio riporta a una scena vissuta da uno dei protagonisti ed è caratterizzata da un oggetto emblematico: sono questi stessi oggetti a dare il titolo ai capitoli. È un vasetto a segnare la nascita dell’unione tra la donna e l’uomo; è un metro da sarto a indicare le prime pretese di lui di dettare i confini della libertà di lei; è una pattumiera a segnare il passaggio in cui il disprezzo diventa la misura del rapporto tra lui e la bambina. Il fucile, titolo del libro, è l’oggetto-ricordo del prologo, che incombe minaccioso sull’intero svolgimento della storia, metafora di una violenza pronta ad esplodere.
Dice Odile Cornuz: «Con questo romanzo desideravo nominare ciò che non lo è abbastanza, quella violenza che spesso non è definita come tale, e tendere uno specchio alle persone che non capiscono di essere intrappolate in questo tipo di relazione tossica. Mi sono ispirata a esperienze vissute personalmente ma anche all’osservazione delle disfunzioni di altri, purtroppo molto comuni, e ho voluto partire da semplici oggetti, intesi come materia grezza, che fossero significativi per i personaggi e diventassero punto di partenza per la costruzione dei capitoli».
Aggiunge la traduttrice, Carlotta Bernardoni-Jaquinta: «L’autrice affida al non detto, e alle molte presenze inanimate che affollano la casa della famiglia, un ruolo fondamentale. Le teste di animale impagliate appese ai muri, ad esempio, frutto delle battute di caccia dell’uomo, contribuiscono a rendere un’atmosfera di violenza impalpabile ma efficace. La materia, come la chiama Cornuz, diventa strumento attraverso cui si crea il senso di minaccia silente e condizionante che aleggia nella quotidianità».
ESTRATTO
Lui l’aveva osservata. Mentre puliva il parabrezza, la donna parlava. Lui teneva il mento appoggiato alle mani, in cima al manico. L’aveva squadrata per un minuto. Un minuto è lungo quando uno guarda senza fare niente mentre l’altro lavora. Aveva aspettato che lei finisse di liberare tutti i vetri, che si avvicinasse al bagagliaio, che riapparisse nel suo campo visivo; la sua traiettoria. Lei continuava a parlare. Non lo guardava. Si stava inasprendo. Era stanca. Lui aveva preso la pala. L’aveva lanciata al volo. Non gli era scivolata dalle mani. Aveva mirato la donna con tutte le sue forze. Lei aveva avuto un riflesso. Una cosa di sopravvivenza. Cadde in ginocchio; il rumore morbido, assordante, dietro di lei.
Si guardarono. Avevano raggiunto un tasso di odio troppo elevato per ritrovare l’uso della parola. La cosa durò per qualche centimetro di neve, uno strato di oblio. Non si erano mossi, non una parola. Poi lui mosse il braccio destro, probabilmente per aiutarla a rialzarsi, perché lei era ancora prostrata. La donna ebbe paura, a scoppio ritardato, una paura infinita. Strisciò nella neve poi si tirò su. Inciampò poi si mise a correre con tutte le sue forze verso casa. Ci si chiuse dentro. Lui si mise al volante, fece scaldare la macchina e partì, pattinando sul ghiaccio. Lei avrebbe voluto che crepasse, lì – almeno avrebbe ricevuto una rendita per vedove.
L’AUTRICE
Odile Cornuz, poeta e scrittrice svizzera di lingua francese, esplora la scrittura in varie forme – radiofonica, teatrale, narrativa, performativa, analitica – e partecipa a letture interattive (Bal littéraire, Jukebox littéraire). Ha pubblicato Ma ralentie (2018), Pourquoi veux-tu que ça rime? (2014) e Biseaux (2009) per le éditions d’autre part e Terminus et Onze voix de plus (2013) per L’Âge d’Homme. Fucile (Fusil) è il suo primo romanzo, uscito in lingua originale nel 2022 per le éditions d’en bas. www.odilecornuz.ch