C’è sempre una seconda possibilità; non bisogna mai perdere la speranza; la vittoria del bene sul male, anche se tardi, arriverà! Questo, in sintesi, il dramma del compositore padovano Arrigo Boito ”Mefistofele” del regista australiano Simon Stone, al suo debutto in Italia all’Opera di Roma per l’inaugurazione della stagione teatrale 23/24, con la straordinaria Direzione del Maestro Michele Mariotti, direttore musicale della fondazione capitolina.
Un prologo, quattro atti e un epilogo che partono dal più noto Faust di Goethe con un cast internazionale d’eccezione tra cui John Relya (Mefistofele), Joshua Guerrero (Faust) e il soprano di origini salernitane Maria Agresta (Margherita/ Elena).
Noi esseri umani spesso utilizziamo il “passaggio terreno” lasciandoci tentare da sete di potere, fasti, ozi, individualismi che ci accecano e ci distolgono dalla collettività, dal bene comune. In questo momento storico così particolare, nel quale la violenza – generata proprio da questa voglia di onnipotenza – sembra aver preso il sopravvento su tutto, il dualismo bene – male, nel quale, alla fine, il bene prende il sopravvento sul male, rende di estrema attualità questa meravigliosa opera, tanto contestata nella sua prima versione alla Scala nel 1868 e più volte rivisitata da Boito, con tagli importanti in alcune parti.
Il “Mefistofele” utilizza meravigliosamente circa tre ore, ben spese, per far riflettere proprio sulle contraddizioni del genere umano, sulla cattiveria e il disinteresse verso gli altri, sulla società fondata sull’Io e non sul noi, sulla naturale tensione dell’uomo a superare se stesso sfidando i propri limiti. Tutti elementi che allontanano l’uomo da Dio e che, nell’opera, si pongono in aperto contrasto con i valori incarnati dal coro che rappresenta –invece- la comunità, il bene. Emerge che la condivisione, il confronto con gli altri, l’ascolto, la capacità di riuscire a comprendere le sofferenze altrui, sono l’unica via di uscita dal buio.
La perenne sete di conoscenza che caratterizza Faust – studioso che non riesce ad accettare la finitudine umana – nel dramma lo porta a cedere a quel Mefistofele che, nel prologo, dichiara a Dio che riuscirà a prenderne l’anima. Dopo grandi tensioni drammatiche, che caratterizzano tutta l’opera, alla fine, grazie a una donna, Margherita – l’animo femminile che in questo momento storico può aiutarci a uscire dal buio della violenza – Faust riesce a trovare la retta via, pronunciando la fatidica frase con la quale, proprio nel prologo, si era venduto a Mefistofele “Arrestati sei bello”. Un epilogo incisivo e coinvolgente durante il quale il patto col diavolo viene finalmente sciolto mentre Faust afferra il Vangelo alla presenza di un magnifico coro di Cherubini, di bianco vestito, ad intonare l’Ave mentre Mefistofele comprende la sua sconfitta e scompare.
Ambientazioni essenziali ma suggestive ed adeguate, con un bianco –colore della purezza – che domina l’intera scena e che si contrappone al vestito rosso di Mefistofele, rosso come il sangue che sgorga dal maiale che compare in scena e che serve a segnare singolarmente i “prescelti” da Mefistofele.
Magica l’Orchestra dell’Opera di Roma , perfettamente integrata nel disegno complessivo, e straordinario il Coro affiancato dal coro di voci bianche del Teatro di Roma, che, fin dal prologo, con un ruolo centrale, declama aree meravigliose, inneggiando a quel Dio al quale Mefistofele dichiara disprezzo.
Eccellente il cast e giusta l’alternanza tra momenti lirici e drammatici. Da notare anche l’ottima interpretazione dei cantanti che appaiono liberi di muoversi nello spazio a disposizione.
Un’opera che lascia il segno davvero! Ovazioni e applausi finali di almeno 15 minuti al coro, al Maestro Mariotti, al Maestro del coro Ciro Visco e agli interpreti che hanno mostrato, tra l’altro, una capacità di recitazione non comune.
Annalisa Frigenti