“Comprendere la storia della vita ed il suo divenire sul nostro pianeta vuol dire, prima di tutto, riconoscere il posto ed il ruolo occupato dalle piante”, scrive nell’introduzione Walter Landini, già professore di Paleontologia all’università di Pisa e curatore del Museo di Geologia e Paleontologia dal 1974 al 1981.
Vi siete mai chiesti come erano le piante, all’inizio della vita sulla Terra? I Sumeri ritenevano che non ci si prende possesso di un terreno ma lo si custodisce e si migliora per un tempo limitato. Con questo spirito di saggezza l’autore intraprende un percorso arduo, sia nelle sue pubblicazioni che nella realizzazione dei Giardini di Sarzana. “Spero – scrive Enrico Caneva – di portare il mio granello di conoscenza sul valore della biodiversità a scopo di preservare la memoria delle piante e i loro rispetto ed aiutarne la diffusione“. Conoscere le piante brucate dai dinosauri era uno dei suoi desideri da bambino. Con il tempo e anni e anni di ricerche, ha scoperto che moltissime esistono ancora.
“La flora preistorica” è un libro sorprendente, più unico che raro, che ci aiuta a capire uno dei più grandi buchi che tutti noi abbiamo quando pensiamo alla preistoria: nell’ immaginario collettivo è un tempo di grandi animali tra cielo e terra, ma mai si parla delle piante. Persino la paleontologia che si occupa di fossili ci ha raccontato quasi esclusivamente la vita animale. Questo libro ci fa capire che niente è più lontano dal vero: sono state le piante a colonizzare le terre emerse nel primo Paleozoico, a trasformare paesaggi minerali in biologici; sono state le piante le artefici della prima grande svolta biologica delle terre emerse, con la rivoluzione clorofilliana; sono state le piante a creare le condizioni per la colonizzazione delle terre emerse da parte degli animali. Uscendo dagli oceani e approdando sulla terraferma, le piante dovettero affrontare condizioni molto diverse e quindi escogitare sistemi di prelievo dal suolo dell’acqua e dei sali minerali; dovettero imparare a rifornirsi di gas dall’aria. Avevano a disposizione molta più luce ma dovettero ridurre al massimo la perdita d’acqua per evaporazione. Anche la gravità fu un nuovo problema da affrontare per le piante approdate sulla terraferma, così come la competizione per la luce.
Scrive l’autore: “Muoversi nell’assordante silenzio delle piante dalle origini antiche del Giardino preistorico è un po’ come perdersi nei percorsi che conducono nei meandri stratificati e poco conosciuti della storia naturale, alla ricerca del senso, se davvero questo esiste, nel divenire della vita sul nostro pianeta. Preistoria è una parola dal fascino arcano, senza tempo definito. Finisce quando comincia la Storia, poi sprofonda e si rivela, di tanto in tanto, in modo frammentario, svelando trame che si intrecciano senza soluzione di continuità. Nell’immaginario collettivo il tempo profondo della preistoria è la patria di animali iconici, delle strane e bizzarre creature del mare, della terra e del cielo. Le piante, in questi “scatti di natura antica” quasi mai occupano il centro della scena, più facilmente si riconoscono come elementi decorativi, indispensabili per dare profondità al paesaggio ed il giusto risalto alle presenze animate…”
L’autore, Enrico Caneva, dal 2018 vive in Liguria, a Sarzana (SP), dove ha fondato il giardino preistorico dedicato alle piante di tutto il mondo e alla formazione botanica. La sua esperienza pluridecennale di paesaggismo e i lunghi studi sui resti fossili delle piante più antiche sono alla base della realizzazione a Sarzana (via Berghini Pasquale): attualmente sono state piantumate 15mila piante, 2.200 specie da tutto il mondo. Il testo racconta come l’avvento delle piante terrestri abbia avuto conseguenze importanti per i flussi di energia nutrienti tra gli ecosistemi terrestri e l’ acqua dolce, quindi anche per l’evoluzione dei gruppi animali che vivevano in questi habitat. Si ritiene che l’evoluzione delle radici sia stata un fattore essenziale nella riduzione delle concentrazioni atmosferiche di CO2. L’erosione dei minerali di silicato e una serie di innovazioni nelle piante vascolari, tra cui la biosintesi e l’origine del cambio, furono fondamentali per lo sviluppo di grandi piante, probabilmente stimolate della competizione per la ricerca della luce. Gli alberi si sono così evoluti in diversi gruppi principali, molto probabilmente dalle felci.
Il giardino terrestre Paleozoico era il primo in assoluto degli Eden possibili ed era il modello di giardino che entrò nell’Era di Mezzo. Sono state le piante a gettare le basi del nostro mondo, sono state loro ad evolvere la capacità di proteggere i propri ovuli all’interno di ovari, strutture che diventano frutti. E ci sono pochi dubbi sul fatto che questa importante novità evolutiva sia sorta nel Mesozoico intorno a 135 milioni di anni fa.
Questo libro – il primo di una collana dedicata alla flora delle diverse epoche geologiche, con schede semplici e pratiche ricche di consigli – ci racconta la storia del pianeta attraverso le piante che, come la Dea Madre, sono generatrici di vita e sempre vincitrici. Walter Landini usa la metafora del giardino come hortus conclusus rivisitandola a livello planetario per sottolineare come le piante di un orto e le foreste di un continente o i biomi del pianeta, anche se su diverse scala, sono tutti i prigionieri della geografia di superficie. Il libro tenta di seguire un ordine cronologico, per quanto possibile. Dedicato alla flora preistorica nel periodo del Giurassico, appunto (dopo la fine del Triassico) da circa 201 milioni a circa 145 milioni di anni fa, è una guida alla preservazione e allo sviluppo di antichissime piante biodiverse.
L’autore ci parla poi di due grandissimi sfide che sta affrontando: la prima è tentare di reintrodurre le specie che erano autoctone da 250 a 50 milioni di anni fa in Europa, nelle loro terre ancestrali. La difficoltà quindi di reperire semi delle rarissime piante superstiti. E la missione più importante per i giardini botanici non è forse permettere la moltiplicazione di queste piante, aiutare la loro sopravvivenza come specie e come patrimonio genetico? La seconda sfida è la piantumazione e il fare reacclimatare queste piante sconosciute al grande pubblico e raccontate in questo libro con schede pratiche che ne riassumono le tecniche di coltivazione. Sono le piante che nutrivano i dinosauri e plasmavano il suolo primitivo.
Per quanto riguarda l’Italia, la scienza ci racconta che non sono i pini marittimi i rappresentanti delle piante autoctone ma gli allori che crescono nelle terre italiche da circa 145 milioni di anni. Il cipresso Italico in realtà è originario della Persia e deve la sua diffusione ai preti zoroastriani che lo presero come simbolo del fuoco sacro e ai Romani che lo importarono nel loro Impero considerandolo forma pura. E le vigne? Sono di origine armena e georgiana: sono stati quei popoli a scoprire la trasformazione dell’uva in vino 6000 anni fa.
Anna Maria De Luca