Se volete scoprire la Barcellona di Picasso, il miglior modo è sicuramente quello di affidarvi all’ente del turismo di Barcellona che ha ideato il Walking Tour Picasso. Lo abbiamo provato per voi ed abbiamo scoperto una guida eccezionale: si chiama Olga e racconta l’amore tra Barcellona e Picasso con una passione ed un entusiasmo tali da riuscire a coinvolgere anche i giovani meno interessati all’arte.

Si parte a piedi da piazza Catalunya, dall’ufficio del turismo (basta scendere la scala mobile al centro della piazza), per un tour dentro la Barcellona bohemienne della fine del XIX secolo e dell’inizio del XX, nei luoghi in cui Picasso visse la sua gioventù. Camminando per vicoli e piazze, Olga ci racconta aneddoti sulle amicizie di Picasso e sugli eventi che influirono sulla sua vita e sul suo percorso artistico, il particolare l’amicizia con Carles e con lo scultore e scrittore Jaume Sabartés, assistente personale dell’artista.

Scopriamo cosi che i Quatre Gats, la birreria-cabaret della calle Montsió, esiste ancora: è stato riaperto negli anni Ottanta. Emozionante ritrovarsi nel posto frequentato da Santiago Rusiñol, Ramon Casas, Miquel Utrillo e Pere Romeu, i cosiddetti Quatre Gats, negli spazi in cui nacque il modernismo catalano e dove Picasso fece la sue prime due mostre, nel febbraio e nel luglio del 1900). Si trova al piano terra della Casa Martí, un edificio modernista opera di Josep Puig i Cadafalch. Qui sono state girate alcune scene del film Vicky Cristina Barcelona di Woody Allen ed oggi è un luogo dove ci si può fermare per bere un tè o per mangiare.

Continuando a passeggiare, arriviamo nel cuore del Quartiere Gotico, cuore della vita politica e religiosa della Barcellona medievale. Di notte lightlife e di giorno museo a cielo aperto, il barrio gotico, completamente pedonale, ha la struttura urbanistica classica dell’impero romano del cardo e del decumano. Ci si arriva facilmente a piedi a plaza Catalunya (per chi non vuole camminare, qui ci sono diverse metro: Catalunya (linea rossa L1 o verde L3), Liceu e Drassanes (linea verde L3) oppure Jaume I (linea gialla L4).

Di fronte ai resti delle antiche mura romane e circondata da edifici medievali ecco l’unica opera di Picasso all’aperto: i fregi del Colegio de Arquitectos, l’associazione che assicura la difesa del valore sociale dell’architettura. L’edificio della sede fu costruito da Xavier Busquets tra il 1958 e il 1962, all’angolo tra via Arcs, piazza Nova e via Capellans, accanto alla cattedrale e, tra le sue linee rette e sobrie – un basso corpo trapezoidale e una torre di otto piani – spicca il fregio con disegni di Picasso.

Passeggiate poi per la calle Avinyó, una stradina un tempo frequentata dalle prostitute immortalate da Picasso nel famosissimo “Le Demoiselles D’Avignon”. La calle corre parallela alla Rambla ed era molto vicina al luogo in cui Picasso aveva il suo studio, a La Llotja, all’angolo tra Avinyó e la calle Cervantes.

Camminando, passeremo anche davanti alla casa natale di Mirò, a Passatge del Crédit, per arrivare infine nel Born dove vivevano, nell’800 le ricche famiglie borghesi, prima che nascesse il quartiere Eixample e che i bene abbienti migrassero nella zona modernista di Passeig de Gracia.

Qui, a Born, ecco il museo di Picasso, a carrer de Montcada, punto finale del tour. Olga ci illustra i periodi di vita dell’artista espressi nelle duecento opere che l’artista donò alla città di Barcellona: il museo,  fondato nel 1963, occupa vari palazzi della calle Montcada e conserva 4.000 opere, la collezione più completa del mondo sui primi anni di Pablo Picasso.

L’esposizione inizia con i quadri del periodo accademico: sono le opere di Picasso ancora studente, legato ai canoni fondamentali della pittura tradizionale stabiliti nel Rinascimento. La sua pittura riflette il realismo dell’epoca, dalle opere più cupe realizzate negli inverni nell’accademia di Madrid a quelle più solari dipinte durante le vacanze nel paesino di Horta de San Joane a Malaga, sua città natale.

Il trauma dovuto alla morte del suo caro amico di gioventù Carles Casagemas, apre il cosiddetto periodo blu, un tempo di forte introspezione dove Picasso vive una crisi esistenziale dovuta appunto al suicidio di Carles, col quale aveva avuto un duro scontro per via di una donna. Picasso e Carles Casagemas erano amici sin dai tempi dell’accademia, si erano trasferiti insieme a Parigi dove frequentavano altri immigrati, poeti e artisti alla ricerca di fortuna. I due però erano profondamente diversi: mentre Picasso era un grande amante delle donne, Carles viveva incastrato tra crisi maniaco depresssive e droghe. Il fattaccio accade per via di una ragazza della comitiva di amici: Carles si innamora di Germaine Gargallo ed inizia una relazione tira e molla, tra le crisi di Carles e i dubbi della ragazza. Il dramma accade a Parigi la sera del 17 gennaio 1901, al Café de l’Hippodrome, a Montmartre. Una serata come tante altre, tra i soliti amici. Picasso non c’era: era tornato in Spagna. Tra una chiacchiera e l’altra, tra assenzio e alcolici, Carles chiede a Germaine di sposarlo. Lei rifiuta. Carles le spara, poi si suicida. Germaine ha la fortuna di salvarsi ma Carles muore.

La notizia arriva a Picasso, in Spagna: il suo amico è morto. L’ultima volta che si erano visti avevano discusso fortemente, per via della ragazza. Picasso inizia a dipingere Carles dentro la cassa da morto, all’obitorio, con il foro del proiettile sulla tempia destra. Lo ritrae con pennellate dolorose, alla van Gogh. Giusto in quel periodo Van Gogh stava diventando popolare per via della pubblicazione, a Parigi, delle lettere di Vincent al fratello. Comunque sia andata, il dolore di Picasso apre il suo cosiddetto periodo blu, dove sceglie come soggetti gli esiliati, i detenuti, i mendicanti, le persone del circo, i disperati. “Cominciai a dipingere in blu quando riconobbi che Casagemas era morto”, scrisse Picasso stesso. Il periodo blu non fu amato all’epoca, la gente iniziò ad allontanarsi e a non comprare i suoi dolorosi quadri.

Stanza dopo stanza si snocciola l’evoluzione dello stile di Picasso, che aveva come riferimento Velazquez, seppure con 300 anni di distanza, le cui opere reinterpretò in molti modi. Ecco alcuni ritagli di giornale con sopra l’amico Sabartes alle prese con diverse donne ed ecco che il periodo blu lascia spazio, stanza dopo stanza, al periodo rosa, che coincidono con il ritorno a Parigi e l’inizio di una relazione con Germain che fu per molti anni una delle sue modelle, anche per Les Demoiselles d’Avignon e dove Picasso cadere l’ultimo pilastro su cui era costruita la pittura accademica: la prospettiva. Cezanne aveva messo in prospettiva, ma da angoli visivi diversi, tutte le parti che componevano i suoi quadri, superando così la risoluzione bidimensionale che aveva trovato Gaugin. Picasso va oltre: sposta e moltiplica i punti di vista, l’immagine diventa una composizione di frammenti di realtà, una rappresentazione «totale» dell’oggetto.

Molto amata dai visitatori è la stanza dei piccioni, soggetto dipinto anche dal padre di Picasso e molto presente nell’artista, basti pensare alla sua famosa colomba della pace che vola in tutti i continenti ed alla scelta di chiamare Paloma la figlia più piccola, nata quando Picasso aveva quasi 70 anni.

Infine, la stanza delle Meninas, ciclo di 58 dipinti e studi realizzati nel 1957 – nell’ultima fase della sua intensissima attività creativa, iniziata nel 1937 con Guernica – e conservati tutti in questo museo, per volontà di Picasso: qui l’artista sperimenta varie interpretazioni della celebre opera di Velazquez, uno degli artisti più rappresentativi dell’epoca barocca. Velazquez era l’artista più importante tra quelli presenti alla corte di Re Filippo IV di Spagna. Perché Picasso ne era talmente affascinato da fare 58 reinterpretazioni del quadro di Velazquez? Per la sua portata ideologica: Velazquez racconta il ruolo dell’artista, l’importanza dell’atto creativo. Nella Spagna del XVII secolo, i pittori raramente raggiungevano un elevato status sociale. La pittura era considerata una professione, non un’arte. ll critico teorico Michel Foucault, definì il quadro “una nuova episteme nell’arte europea”, poiché tentava di permettere al pubblico del dipinto di diventare la figura sovrana e Luca Giordano definì Las Meninas la «teologia della pittura». Non sorprende quindi che Picasso ne fosse affascinato tanto da inserirci, in modo molto forte, se stesso e il proprio cane.

Testo e foto di Anna Maria De Luca

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