Per comprendere Joan Miró, il senso profondo della sua opera che nasce da un desiderio di attesa proprio dell’essere umano, il suo legame con Mont-roig, bisogna venire a Barcellona nella fondazione a lui dedicata. Si trova a Parc Monjui ed è uno dei pochi esempi di musei al mondo in cui l’artista e l’architetto hanno instaurato un dialogo di complicità tra l’opera e gli spazi che l’accolgono.
Credit photo Anna Maria De Luca
Fu Miró stesso a volere la fondazione – qui sopra ne vedete il modellino, con lettura in braille – che oggi conta circa 14mila opere, per realizzare il desiderio di creare a Barcellona una galleria per la sua collezione ed un centro per la ricerca sull’arte contemporanea.
Per tutta la vita Miró alternò periodi con i poeti surrealisti nella Parigi degli anni ’20, allo stimolo della scoperta dell’espressionismo astratto a New York negli anni ’40, a lunghi ritiri a Mont-roig nella regione del Baix Camp in Catalogna, per consolidare la sua identità. Nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, Joan Miró tornò dall’esilio in Francia e si stabilì a Palma di Maiorca, che divenne il suo rifugio e luogo di lavoro e dove il suo amico Josep Lluís Sert progettò lo studio dei suoi sogni.
Le opere esposte sono state donate in parte da Miró stesso, per l’apertura del museo al pubblico il 10 giugno 1975, in parte da sua moglie Pilar Juncosa, in parte da Joan Prats ed. La collezione è cresciuta con le successive donazioni di Marguerite e Aimé Maeght, Pierre Matisse, Manuel de Muga, Josep Lluís Sert, Francesc Farreras, Galeria Gaspar, la famiglia Gaspar Farreras, Josep Royo, Gérald Cramer e David Fernández Miró, tra gli altri. Comprende anche opere in prestito dalle collezioni di proprietà di Emili Fernández Miró, Joan Punyet Miró e Lola Fernández Jiménez e dalla Collezione Kazumasa Katsuta.
Nell’arco di tutto il suo percorso artistico, Miró si sente fortemente attratto da una dialettica di forze e concetti apparentemente in contrasto tra loro: il cielo e la terra, il giorno e la notte, la violenza e l’evasione, la pittura e l’antipittura, nell’aspetto più materico. Dall’impulso creativo che sorge dalla conciliazione di queste forze antagonistiche scaturirà uno dei linguaggi plastici più eccezionali del XX secolo.
La prima sala espone le opere donate da Joan Prats, amico intimo di Miró che lo aiuta molto quando decide di creare la fondazione e che costituiscono il nucleo iniziale dell’esposizione.
Credit photo Anna Maria De Luca
La terza sala è stata concepita dal suo amico, l’architetto Joseph Luis Sert e riproduce la disposizione del trittico come era nell’atelier dell’artista. “Conquistare la libertà è conquistare la semplicità” diceva Miró. E così che una sola linea, anteriore alla forma, incarna l’origine della creazione.
Miró considera l’arte un aspetto essenziale della natura umana con degli attributi magici e sacri originali. Da qui la svolta nella sua pittura, il rifiuto della copia del mondo visibile, la nascita di un linguaggio di segni derivato dalla combinazione di elementi lineari e di forme molto semplificate.
Rifiuta tutte le convenzioni accettate dalla tradizione artistica, in particolar modo la prospettiva. E così gli oggetti diventano simboli, anche sessuali, in particolar modo negli anni della guerra spagnola, con espressioni che evocano la violenza ed anche Mont-roig diventa desolato ma con una molteplicità di disegni che si riferiscono all’universo.
Credit photo Anna Maria De Luca
Miró va così verso una forma leggera ed epurata su un fondo bianco privo di ruoli particolari
La fondazione espone anche il monumentale trittico che Mirò completò nel giorno in cui Franco fece uccidere il giovane militante Salvador Puig Antich. Coincidenza rivelatrice perché nelle opere precedenti evocava la prigione, la tortura e l’evasione. La forza della linea che si interrompe, come la vita.
A partire dagli anni Sessanta Joan Miró porta alle estreme conseguenze la propria trasgressione delle convenzioni della rappresentazione. Affascinato da ciò che facevano le nuove generazioni di artisti e dalle nuove tendenze dell’espressionismo astratto nord americano, le sue tele si ingradiscono sempre più e spinge cosi il processo di desacralizzazione dell’opera d’arte lanciato negli anni Trenta. Prende coscienza dello spazio illimitato della tela, la sperimenta fisicamente, la taglia, la brucia, la strappa. Rimettendo di nuovo in causa la pittura ne rimette in causa anche il valore economico e gli interessi del Mercato dell’arte esprimendo così l’esigenza di libertà che caratterizza la fine della dittatura di Franco.
Credit photo Anna Maria De Luca
La collezione continua nell’ala destra della struttura attraversando una meravigliosa vetrata con piscina che affaccia su tutta Barcellona
In questa ala dominano le immagini iconiche. Un tappeto colossale pone la questione dell’integrazione dell’opera nello spazio dell’architettura.
Miró converte l’archeologia rurale in oggetti totem di culto che acquistano sacralità e divinità aristocratica senza perdere l’essenza di materiali modesti: mantenendo la loro precarietà sono l’antitesi dell’oggetto da venerare. E’ evidente come il legame con la terra, sia a Mont-roig prima che a Maiorca, l’interesse per gli oggetti quotidiani e per l’ambiente naturale facciano da sfondo alle sue ricerche tecniche e formali.
La vita in campagna gli mette a disposizione oggetti modesti che lui nobilita. Mirò vuole che l’arte perda la sua aura e sia unita alla vita, che diventi una estensione della vita, integrata al paesaggio ed all’architettura. Dal ’60 inizia una grandissima produzione di bronzi e lega alla natura scultura e ceramica.
Miró ha puntato alla ricerca di un’arte pura e globale che non fosse classificabile in nessun movimento specifico, ma che esprimesse la sua ribellione e la sua forte sensibilità per gli eventi politici e sociali che lo circondavano. Queste forze contrastanti lo hanno portato a creare un linguaggio unico ed estremamente personale che lo rende uno degli artisti più influenti del XX secolo che oggi parla, attraverso le sue opere, negli spazi pubblici, nei principali musei e nelle istituzioni di diverse città del mondo: da Barcellona a Parigi, da Chicago a Milano, da Houston a Madrid, da Washington a Palma di Maiorca a Saint-Paul-de-Vence.
Dove trovarle negli spazi pubblici? A Barcellona: Donna e uccello, nel Parc de Joan Miró, già sede del mattatoio cittadino; Donna, nel cortile centrale della Casa de la Ciutat; la pavimentazione in ceramica di Pla de l’Os, sulla Rambla; e il grande murale in ceramica sulla facciata del Terminal 2 dell’aeroporto di Barcellona, realizzato con J. Llorens i Artigas. A Chicago scultura Miss Chicago: a Houston Figura e uccelli , a Milano Progetto per un Monumento, a Madrid il murale in ceramica sulla facciata del Palacio de Congresos, Madrid. E poi ancora: due murales in ceramica, Wall of the Sun e Wall of the Moon , presso la sede dell’Unesco, Parigi; e Amanti che giocano con i fiori di mandorloa La Défense, Parigi. Altre opere si trovano alla Fundació Miró Mallorca, ospitata nello studio Josep Lluís Sert progettato per Joan Miró a Palma de Mallorca; la Fundació Maeght, a Saint Paul-de-Vence, anch’essa progettata da Josep Lluís Sert; il Guggenheim Museum, MoMA e il Metropolitan Museum of Art, New York; la National Gallery of Art, Washington DC; il Museo d’Arte di Filadelfia; il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid; e il Centre Pompidou, Parigi.
Si ringrazia Turisme de Barcelona (http://www.visitbarcelona.com) per il supporto nell’ingresso ai vari musei della città. Vi consigliamo di rivolgervi a voi per strutturare bene e in modo semplice la vostra vacanza.
Testo e foto di Anna Maria De Luca