Il libro raccoglie tre interventi di Giuseppe Pontiggia, uno dei maggiori scrittori e critici del secondo Novecento italiano, tra i primi in Italia a tenere corsi di scrittura creativa. Dedicati alla parola, allo scrivere ed alla lettura, i tre interventi sono ppubblicsti in modo fedele a cura di Daniela Marcheschi critico e docente di letteratura e antropologia delle arti in mote unversità straniere e italiane.
Nel primo, “Le parole e la rettorica”, Pontiggia si chiede come mai la cultura rettorica in Italia sia stata progressivamente svalorizzata. “Soprattutto per la diffidenza della cultura idealistica italiana nei confronti della tecnica (la rettorica è essenzialmente tecnica dell’espressione) e per l’avversione romantica a tutto ciò che poteva essere regola e non spontaneità e libertà di espressione. Il risultato piuttosto penoso… è una progressiva uniformazione. Il lingaggio si impoverisce, le scelte che uno può fare e soprattutto che i giovani nelle scole di oggi possono fare sonoo scelte sempre più circoscritte”.
Nel secondo, “Come rendere più espressiva la scrittura”, Pontiggia evidenzia il valore della retorica e il rischio dell’indebolimento della parola nell’era della predominanza della comunicazione orale. “In realtà non sappiamo molto parlare, e nemmeno molto scrivere. Prendiamo per esempio gli intellettuali. Quando parlano sembrano libri stampati. Dunque non parlano. Non si servono della parola con energia e convinzione. Restano in una specie di vuoto pneumatico senza guardare in faccia l’interlocutore”. La scrittura, ricorda Pontiggia, ha poche migliaia di anni: tremila. Ha dunque un carattere artificiale ed è assolutamente inadeguata a riprodurre la ricchezza del linguaggio orale, straordinariamente ricco di risorse espressive. Non per altro, i grandi maestri del pensiero, da Socrate a Budda a Cristo, hanno eluso il linguaggio scritto. E il loro messaggio ha varcato i secoli grazie all’oralità che è comunicazione piena. Noi invece abbiamo l’impressione che il linguaggio scritto sia preciso. Lo è. Dovrebbe esserlo, almeno nelle intenzioni. Ma deve fare i conti con i limiti della pagina”.
Pontiggia ci ricorda che la comunicazione deve essere intesa come trasmissione di un contenuto, richiede tecnica: scelta delle parole. Esprimendosi a ruota libera, senza la tecnica del discorso, si finisce di cadere nella banalità. “A volte droghiamo il linguaggio, come ai tempi dell’inflazione. Quanto meno conta la parola, tanto più si moltiplica ottenendo un ulteriore deprezzamento. Invece la parola va recuperata”.
Nel terzo, “Leggere come felicità dell’utopia” Pontiggia affronta la questione della lettura. Il libro non è mai stato di moda. Se c’è una moda che il libro può perseguire è di esser orgogliosamente fuori moda. Utopia dell’eternità. L’amante di libri non muore. I libri prolungano l’esistenza”. In Pontiggia, troviamo un amore autentico per il linguaggio, il denso spessore della parola, la ricerca del significato perduto. Insomma un grande libro accessibile a tutti scritto con onestà intellettuale.