C’è un’attività teatrale che si definisce teatro sociale, oppure teatro sociale d’arte o in altri modi, che ha visto in questi anni una vera esplosione e moltiplicazione. Pratiche teatrali e attività laboratoriali che si sono diffuse in tutta Italia e che producono una innumerevole attività culturali con cifre quantitative impressionanti. Tutte queste iniziative vedono il teatro come un atto politico vero e proprio, un luogo per l’impegno che cerca e trova un dialogo stretto con la parte più sofferente ed emarginata della nostra società.

È una storia che viene da lontano (dalle esperienze di De Sade che, rinchiuso nel manicomio di Charenton allestiva lavori teatrali nei quali recitavano i pazienti, passando per Grotowski e Peter Brook) quella che riguarda il rapporto tra teatro e marginalità in senso lato, e che è sfociata nell’uso terapeutico del teatro (attualizzando la lezione aristotelica della catarsi). Il teatro come strumento di “cura”.

Questo libro nasce da un seminario tenutosi a Bolzano lo scorso anno, in occasione della Giornata mondiale della salute mentale, che aveva come tema lo stato della ricerca teatrale che dialoga con il disagio. Indagine volta a verificare una specie di ribaltamento della prospettiva, per l’appunto se è plausibile sostenere che è la malattia a curare il teatro, e non viceversa. Un teatro cioè che si immerge senza paura nelle più lontane e se si vuole più bisognose alterità: le fa diventare parlanti e visibili, ne aiuta la presa di coscienza e di contatto, ma appunto perché non mischia la sua diversità con le diversità che coinvolge e converte.

Una ricerca che esalta la progressiva conquista da parte dell’arte teatrale della diversità sociale e culturale verso la quale produce tutta una serie ininterrotta di interventi, iniziative, denunce. Ribaltare vuole dire fondare l’atto creativo rivolto al cambiamento, dove al centro c’è la performance intesa come “agire, essere in atto” e come luogo dove ricostruire e rimodellare la propria esperienza.

Nelle esperienze teatrali condotte in questo ambito vengono poste al centro della propria sperimentazione e ricerca il corpo dell’attore nelle sue molteplici declinazioni espressive, fonte e laboratorio di linguaggi da esplorare nelle loro infinite differenze. Ci sono compagnie formate da attrici e attori professionisti con disagio psichico, che il regista dirige non ponendosi obiettivi terapeutici ma «per cogliere il mistero che appartiene all’inesplicabilità dell’arte, mentre la terapia è costretta a fermarsi su questa soglia». Teatro come necessità e poesia, ma anche come atto politico, in quanto riscatto sociale ed emancipazione personale.

«Senza il dolore della ferita, della mancanza, esiste solo l’uguale, il consueto, quello che conosciamo già. È attraverso la ferita che andiamo oltre, che riusciamo a immaginarci in altro modo», afferma Viganò nell’intervista che apre il volume, «è la ferita che muove i nostri desideri e le nostre volontà, la nostra voglia di andare in un altrove». Alcuni corpi rappresentano altre narrazioni, altre forme, altri modi, mostrano gesti che non conosciamo perché non sono i nostri, ma che vale la pena saper leggere. Ecco quindi che la diversità che si esprime su un palco, quando non è né esibita né celebrata, può far nascere nello spettatore il desiderio di astrarsi da se stesso e dal conosciuto. È attraverso la malattia che il teatro diventa sano, vivo, necessario.

I contributi dei numerosi autori – Piergiorgio Giacchè, Guido Di Palma, Fabrizio Fiaschini, Stefano Masotti, Oliviero Ponte di Pino, Susanne Hartwig, Andrea Porcheddu, Alessandro Garzella, Alessandro Argnani, Rosita Volani, Thomas Emmenegger, Michela Lucenti, Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari, Gianluigi Gherzi, Ugo Morelli – offrono uno sguardo nuovo sulle esperienze che comunemente confluiscono nel cosiddetto “teatro sociale”, nel tentativo di renderle patrimonio del teatro-tutto, di restituirne la portata culturale. Scorrendo le pagine di questo libro emergono possibili indicazioni, suggerimenti, ipotesi, testimonianze di percorsi emblematici. La malattia che cura il teatro rappresenta così un luogo di riflessione su quel che si fa e quel che si potrebbe (ancora) fare.

Esperienza e teoria nel rapporto tra scena e società

a cura di Andrea Porcheddu e Cecilia Carponi

2020, pp. 176, € 20,00

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