Il Mudec rende omaggio a Vasilj Kandinskij con un’inedita mostra “site-specific”, legata alla propria vocazione e fondata sul rapporto tra arte e scienze e sulla metafora del viaggio come avventura cognitiva. Tutti aspetti sperimentati dal fondatore dell’astrattismo, che ha sempre mostrato interesse per un approccio scientifico alla realtà, per le esplorazioni, per il viaggio come cifra riassuntiva della sua stessa esistenza.
In lui, moscovita di nascita, si mescolano i geni russi e tedeschi dei genitori, e quelli degli avi, provenienti dalla Siberia Orientale. Nato in una famiglia colta, segue studi classici e sin da bambino prende lezioni di piano, violoncello e disegno. All’università frequenta giurisprudenza, ma s’interessa con passione all’etnografia, in cerca delle radici profonde della propria cultura. Nel 1889 vive un’esperienza decisiva: passa più di un mese nel governatorato di Vologda, nel Nord della Russia, studiando le credenze e il diritto penale dei komi, e il popolo degli ziriani. Raccoglie e pubblica canzoni popolari, esegue disegni, appunta un Diario di viaggio. In quei villaggi sperimenta una rivelazione: «Nelle loro isbe mi sono imbattuto per la prima volta in questo miracolo, che in seguito divenne uno degli elementi del mio lavoro. Qui ho imparato a non guardare al quadro generale dall’esterno, ma a ruotare intorno a esso, vivere in esso. Quando sono entrato nella stanza, la pittura mi ha circondato, e sono entrato in essa».
La mostra – che accosta sue opere provenienti dai più importanti musei russi, alcune mai viste prima in Italia, a esempi della cultura popolare, cui si ispirò – abbraccia il lungo periodo della formazione dell’immaginario visivo dell’artista, fino al 1921, quando si trasferì in Germania per non tornare mai più in Russia. L’obiettivo è consentire allo spettatore, anche con l’ausilio di specifici strumenti multimediali, di comprendere l’origine e lo sviluppo del suo codice simbolico, in un viaggio affascinante tra le sue fonti visive. Il visitatore potrà “entrare” nei suoi dipinti astratti e percorrerli. Proprio come voleva lui, che scrisse «per anni ho cercato di ottenere che gli spettatori passeggiassero nei miei quadri: volevo costringerli a dimenticarsi, a sparire addirittura lì dentro».