Al Macro di Roma, fino al 15 marzo 2015
Frontiers è la prima mostra personale in Italia dell’artista francese Cyril de Commarque (Francia 1970), composta da una grande installazione formata da tre opere e ha per soggetto il rapporto tra l’individuo ed il concetto di “confine”, articolato in tutte le sue sfumature semantiche: emotive, culturali e sociali.
La racine perdue, le père de mon père-Die Verlorene Würzel, die Vater meines Vaters (2007), è una video-installazione sonora che, traendo spunto da un episodio di cronaca familiare, riflette sull’idea di dolore e di memoria. Esodo è un ciclo di lavori su carta avviato nel 2010 incentrato sul dramma dei profughi in viaggio dalle loro terre d’origine. Migrants (2012-13), una scultura in vetro, lattice e metallo, liberamente ispirata a Le radeau de la Méduse di Theodore Gericault, trasmette in forma sonora i messaggi di esuli in fuga, mentre la serie Frontiers(2013) è composta da sagome dei territori di Israele, Russia, Turchia in alluminio placcato in oro ove ciascun strato di metallo corrisponde ad una stagione della storia recente del luogo.
In particolare, Migrants parte da una riflessione dell’artista sulla condizione di molti migranti al giorno d’oggi. Più di una persona su cento sta vivendo l’esperienza di una migrazione forzata. Questo spostamento, sul piano psicologico e fisico, crea una condizione di sospensione in cui la sfera del passato è inaccessibile, e il futuro incerto. L’esistenza penetra in uno stato di limbo, tra pericolo e fragilità alimentata da sentimenti estremi. Molte persone lasciano il loro paese e si gettano come bottiglie nel mare verso una vita nuova e ignota. Tutti questi individui, che attraversano oceani su barche instabili, sono la fonte d’ispirazione di questo lavoro che, allo stesso tempo, si rivolge a tutti coloro che sono stati costretti ad attraversare frontiere a causa di violenza e distruzione. Migrants è una raccolta di bottiglie di vetro. Ogni bottiglia contiene un cuore che batte al ritmo di un battito cardiaco. Le voci dei migranti – dove ogni parola esprime solitudine, angoscia, sofferenza e, talvolta, disperazione – emanano, insieme alle bottiglie, un requiem, composto da una sovrapposizione caotica di storie di migranti, persi tra passato, presente e futuro.
Frontiers è un lavoro costituito da una serie di sculture in alluminio placcato oro e ottone lucidato che hanno la forma dei confini di paesi tra cui Israele, Germania, Russia, Turchia, Austria, e che, attraverso strati sovrapposti di metallo, rappresentano l’evoluzione dei confini stessi nella storia recente. La riflessione dell’artista parte dal significato attribuito alle frontiere, dalla considerazione delle stesse come simbolo delle nazioni e di come gli esseri umani combattano da sempre per esse, attraversandole sia legalmente che illegalmente ed erigendo muri. Simboleggiano l’egemonia ma anche le nostre paure. I confini cambiano, nel corso di un secolo la fisionomia del mondo si è costantemente evoluta. A causa dei conflitti, i confini si sono spostati e sono simili a strati sovrapposti. Gli effetti sono migrazioni forzate, umiliazione, lotte, senso di frustrazione, minoranze etniche e anche riconciliazione, pace.
Migrants e Frontiers-Israel, selezionate tra numerose altre per la loro singolare capacità di testimoniare efficacemente il percorso creativo dell’artista, sono idealmente e concretamente congiunte tra loro da una terza creazione, concepita appositamente da de Commarque per la mostra al Macro e che l’artista ha voluto chiamare analogamente Frontiers, in continuità con la serie realizzata nel 2013. Si tratta di un insieme di fili rossi distribuiti orizzontalmente lungo le pareti dello spazio espositivo, i quali, oltre ad enfatizzare emblematicamente temi e contenuti delle opere in mostra, conferiscono loro un impianto visivamente omogeneo dando luogo ad un’unica, grande installazione.
L’esposizione, a cura di Pier Paolo Pancotto, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.