di Anna Maria De Luca
Il profumo dei gelsomini e dei fiori d’arancio si spande da dietro muri di mattoni rosa coperti di buganvillee che si affacciano su strade puntellate da palme. Sullo sfondo, l’Alto Atlante. Nei vicoli brulicanti di persone e motorini, i colori vivaci dei tessuti che si alternano all’infinito, di banco in banco, stordiscono la vista mentre le voci dei mercanti sembrano intonare una recita sempre uguale, una contrattazione che già sai dall’inizio dove va a finire. Il tutto, in un’atmosfera carica di profumi di cedro, the alla menta e spezie, miste ad odori di ogni tipo, anche non gradevoli. Questa è la Marrakesh dei souk e dell’arte, della storia e della modernità delle ville costruite per i ricchi europei.
Il cuore storico del souk va dalla moschea Ben Youssef, a nord, fino al souk Smarine, a sud. Nelle strette stradine a nord e ad est di Place Jemaa el Fna, i negozi sono sistemati a seconda dei beni venduti. I vicoli dove oggi i prodotti “made in China” si alternano con l’artigianato locale hanno visto la successione di cinque dinastie: gli Almoravidi, che nel 602 fondarono la città e vi portarono l’acqua, gli Almohadi (nel XII secolo), i Merinidi che nel 1269 conquistarono Marrakech e spostarono la capitale a Fez, i Saadiani che invece la riportarono al rango di capitale e nel XIC secolo gli Alaouiti. Intorno alle botteghe dove si commerciano gioielli, ciabatte e articoli in pelle ci sono le attività artigianali, specialità delle genti di campagna: fabbri, ferrai, sellai e intrecciatori di canestri. Tra i vicoli, il “mâalem”, artigiano esperto, è il custode dell’esperienza ancestrale e dei segreti del mestiere. Le concerie di pelle sono invece sempre ai limiti della città in quanto emanano un odore molto forte.
I souk sono organizzati in corporazioni: Cherratine per la pelletteria, Zrabi per i tappeti, Fekharine per la ceramica, Sebbaghine per i tintori, Seffarine per l’ottone… Nei souk si trovano i tipici oggetti in alpacca creativa, una lega dal colore argenteo fatta di zinco-rame-nichel e sviluppata nel 1819. Viene usata dagli artigiani per fare scatole, piatti, cornici, specchi, gioielli. Negli ultimi anni l’artigianato marocchino ha cercato di incontrare la modernità realizzando produzioni più vicine alla sensibilità contemporanea. Molti creatori oggi reinterpretano le materie e la tradizione per produrre oggetti moderni e “di tendenza”. Marrakech è dunque diventata anche laboratorio di design e non solo nel quartiere moderno di Gueliz, dove si trovano la maggior parte dei negozi di stilisti e designer: negli ultimi tempi si comincia a trovarne anche nella medina. Un aiuto per distinguere tra i souk originali e le botteghe “globalizzate”: vi consigliamo per l’antiquariato “La Lampe D’Aladin” (70 bis, souk Smarine) e “L’Arte Arabe”, (75 souk A, Mouassine); per i tappeti berberi: “La Porte D’Or” (15, souk Smarine); per i gioielli: “El Abibi Nasser Ed Dine (9, souk Smarine) e “Lazhari Frères” (4, souk Labbadine”; per le babouches: “Ahmed Ait Taleb” (236, souk El Kebire); per i caftani: “L’Ourika” (77, souk Smarine).
Al di là degli aspetti commerciali sopravvive Marrakech “la regina”, raccontata nelle memorie di Winston Churchill, scelta dal pittore Jacques Majorelle per creare il suo famoso giardino, poi acquistato da Yve Saint Laurant (è oggi di proprietà dell’omonima fondazione). La magia di Marrakech sopravvive tra i cartelli pubblicitari disseminati un po’ovunque per incitare ad investire nelle nuove ville con piscina costruite accanto ai campi da golf: si parte da 600 euro al metro quadrato e molti vip italiani in cerca di un paradiso al sole non si sono lasciati scappare l’occasione.
Ma Marrakesh è molto di più di quanto si voglia “vendere” agli europei. Lo si respira negli occhi degli uomini fermi ore e ore nella piazza Jemaa el Fna, patrimonio Unesco e cuore pulsante della città, che ad ogni al tramonto si trasforma in un gigantesco ristorante all’aria aperta. Portano al collo serpenti e scimmie promettendo di indovinare il futuro. La si trova tra le rughe del “vecchio dentista” che ferma i turisti nella piazza per invitarli a provare a tutti i costi una delle cento dentiere che vende nel suo banchetto; nei salti dei Gnawa che vibrano al ritmo delle loro “krakachs” (nacchere metalliche) e in tutti gli odori che riempiono piazza Jemaa el Fna. La magia di Marrakesh è tra cantastorie, indovini, acrobati, è nella voce che richiama alla preghiera cinque volte al giorno, è tra le pieghe dei vestiti lunghi e colorati delle donne che aspettano, sotto il sole, che passi l’autobus, si legge nelle gonne cortissime delle ragazze che di sera popolano i pub.
Per vedere la Marrakech “vera” bisogna entrare nella vita quotidiana che si svolge all’ombra della Koutoubia, considerata uno dei monumenti più belli del Maghreb (il suo minareto di 77 m è visibile fino a 25 km). Nella città antica si entra attraverso le Bab (porte): sono una ventina e si aprono lungo i 19 chilometri di mura. Alcune, come Bab el Debbagh e Bab Agnaou hanno mantenuto la loro architettura originaria. Il passato del Marocco, vive tra le colonne di marmo italiano e la cupola in legno di cedro della necropoli reale (vicino a Bab Agnaou) dove si trovano le Tombe Saadiane (XIV-XVI secolo). Non lontano ci sono le rovine maestose del Palazzo El Badi: un tempo era considerato la meraviglia del mondo musulmano, oggi sopravvivono solo le mura che accolgono le cicogne.
Evitate di fotografarle se non programmate gravidanze imminenti: secondo la tradizione, sono auspicio di futura maternità. Vicino al Palazzo Bahia e ai suoi giardini, il museo di Dar Si Said, che raccoglie l’essenza dell’arte popolare di Marrakech e della cultura berbera, e il Dar Tiskiwin. La madrassa Ben Youssef, costruzione Saadiana, gioiello di marmo, stucco, piastrelle e cedro, è una grande università coranica che attira studenti da tutto il mondo musulmano. Di fronte, la Kubba Almoravide (o Kubba Ba’Adiyn), l’unica vestigia degli Almoravidi (1064) e della loro architettura. Nelle vicinanze, il palazzo M’Nebhi, splendidamente ristrutturato ospita il Museo di Marrakech, sede di mostre di arte contemporanea e di arte e scultura tradizionale marocchina
Infine, il palmeto: quattordicimila ettari irrigati grazie ai “khettaras”, un sistema di canalizzazione sotto il suolo alimentato dalle acque sotterranee. E poi i giardini, sia nella città nuova che tra le mura della città vecchia: oltre al Majorelle, il parco Arsat Moulay Abdessalam, i giardini del Palazzo Bahia, i frutteti dell’Agdal. Prima di lasciare Marrakech visitate la Menara, un luogo che unisce passato e presente: in questo magico spazio di pace gli Almohadi crearono nel XIX secolo un padiglione che si riflette, con lo sfondo dell’Alto Atlante, in un grande bacino che da 700 anni estrae l’acqua dalle montagne per convogliarla per 30 km, fin dentro gli uliveti.
(pubblicato su Repubblica Viaggi del 23.07.2010)