Forse lo si dovrebbe dire in tutte le lingue, perchè Venezia ha bisogno di essere salvata ed è patrimonio dell’umanità, quindi tutti dovrebbero sapere che è in pericolo!
Sono anni che gli abitanti del centro storico si spostano in terraferma, spopolando in maniera evidente molte zone della città e creando un “vuoto” non solo economico ma anche culturale. In questi ultimi anni anche il turismo si è evoluto in maniera da creare un flusso continuo di visitatori mordi e fuggi, quelli che arrivano, corrono avanti e indietro per vedere solo quelle due o tre cose che interessa loro, lasciandosi dietro rifiuti e poco altro.
Spettacolare quanto surreale, il transito delle navi mastodontiche nel canale della Giudecca, sarebbe responsabile di troppi danni, così si cerca di correre ai ripari. L’impatto ambientale, è stato colcolato dagli smbientalisti, sarebbe responsabile di un movimento eccessivo delle acque lagunari che metterebbero a rischio e fondamenta di pietra, legno e sabbia, facendo perdere in un anno 1 milione di metri cubi di sedimenti.
Inquinano come 14mila automobili e sono a rischio collisioni continue: così Venezia detta,finalmente, guerra alle navi da crociera che ogni giorno transitano nel bacino di S. Marco. E ancora di più inquinano quando sono ormeggiate al molo perchè le emissioni di una nave da crociera in dieci ore di sosta (dati forniti dall’Enel) sono pari a: Anidride carbonica: 72 tonnellate; Ossido d’azoto: 1,47 tonnellate, Ossido di zolfo: 1,23 tonnellate.
Tutto qui? Veramente il pericolo di stravolgimento di una città già in ginocchio, si presenta anche con chi decide di investire i suoi soldi con arroganza e mancanza di rispetto: ai margini del Ponte di Rialto si trova il fondaco dei Tedeschi.
Analogamente al Fontego dei Turchi il Fontego dei Tedeschi è di antica fondazione (XIII secolo) e legato alle esigenze commerciali della Repubblica di Venezia: esso era punto d’approdo delle merci trasportate da mercanti tedeschi, che qui le immagazzinavano.
L’edificio originario fu vittima di un incendio devastante nella notte tra il 27 e il 28 gennaio 1505, ma in meno di cinque mesi il Senato veneziano aveva già deciso di ricostruirlo su progetto di Girolamo Tedesco. Si trattava di una completa ricostruzione, che ebbe luogo tra il 1505 e il 1508. A differenza di altri palazzi sul Canal Grande, si decise di non ricorrere a decorazioni marmoree né elementi decorati a traforo, abbellendo piuttosto le campiture libere tra le finestre con affreschi, per i quali vennero chiamati Giorgione e il suo giovane allievo Tiziano. Secondo Dolce, che scriveva nel 1557, la Giustizia di Tiziano, dipinta sul lato della calle, era così bella che venne scambiata per opera del maestro Giorgione, generando un conflitto tra i due.
Nel 1508 venne celebrata la conclusione dei lavori con una messa solenne e nello stesso anno una contesa per il pagamento degli affreschi di Giorgione fa pensare che anche la decorazione esterna fosse completa. verso il 1760 gli affreschi erano ancora discretamente leggibili, come dimostra una serie di incisioni di Anton Maria Zanetti.
….Come gli altri fonteghi della città, anche questo fu soppresso con la caduta della Repubblica nel 1797.
È stato a lungo di proprietà delle Poste Italiane. Ceduto nel 2008 al gruppo Benetton , si prevede che verrà sottoposto ad un nuovo intervento di recupero statico e funzionale, sotto la direzione artistica dell’architetto olandese Rem Koolhaas, con la creazione di un polo non solo commerciale ma anche culturale. Un anno dopo il progetto viene consegnato in comune lasciando «allibito» il sindaco Giorgio Orsoni per le singolari modalità con cui s’iniziava la pratica edilizia. Lo stupore del sindaco scompare in questi ultimi mesi, dopo che il gruppo Benetton s’impegna a versare nelle casse comunali 6 milioni di euro «a titolo di beneficio pubblico», ma solo a condizione che il progetto sia approvato interamente e con rapidità. Orsoni lo definisce uno «scambio urbanistico», ossia una contrattazione fra pubblico e privato prevista dalle norme. Tuttavia il fatto che tale scambio abbia per oggetto la possibilità di eludere le leggi di tutela dei beni culturali desta lo sdegno
Koolhaas non sembra riconoscere la razionalità dell’edificio di Fra Giocondo: inserisce delle scale mobili diagonali all’interno di una corte che fu rivoluzionaria proprio perché perfettamente quadrata; preferisce introdurre due nuovi accessi agli angoli dell’edificio invece di riattivare quell’ordine che a partire dagli ingressi assiali voluti da Fra Giocondo è stato in grado d’irradiarsi sulle strade circostanti; demolisce molti muri interni per ottenere spazi commerciali più simili a quelli presenti in altre città; praticamente sopraeleva di un piano l’edificio realizzando nuovi spazi nel sottotetto e una stanza al di sopra del lucernaio vetrato; infine prova ad aprire una terrazza sul Canal Grande. La relazione utilizza anche argomenti singolari: afferma che «per la prima volta in secoli l’edificio non è utilizzato», senza dire che ciò è vero solo da quando è diventato proprietà del gruppo Benetton; oppure stima che ‘solo’ il 34 % circa dell’edificio, ossia più di un terzo, sarà oggetto di demolizioni e nuove costruzioni, senza dire che gl’interventi in calcestruzzo armato degli anni Trenta invece di venir rimossi verranno rafforzati.
Tutto qui? Logicamente no, perchè un altro benemerito di origini venete, tale Piero Cardin sarto in Parigi decide di volere costruire il suo Palais Lumiére sui bordi della laguna. Si tratterebbe di un Palazzo avveneristico alto 245 metri, illuminato a giorno, costruito nella zona industriale di Marghera. “Le immagini che stanno circolando rappresentano il Palais Lumière alto come il Molino Stucky della Giudecca, nonostante uno si trovi a Marghera e l’altro in centro storico. Sono vecchie foto, le primissime viste della brochure fatte girare per presentare il progetto di Cardin, anche a Ca’ Farsetti. Ma se allora, era importante mostrare cosa poteva rappresentare la torre della luce, adesso invece risulta fondamentale limitarne l’impatto su Venezia, e porre fine alle polemiche di chi vede l’opera della stilista come un «mostro» per la Serenissima.” – “E’ sufficiente passeggiare lungo la fondamenta delle Zattere ed osservare l’arco noto come “ponte bossi”, uno dei simboli della Porto Marghera della chimica, che al suo vertice raggiunge i 50 metri. Quell’arco lo si distingue benissimo dalle Zattere, figurarsi se non si vedrebbe da Venezia un “Coso” alto cinque volte tanto.” la risposta di chi è contrario!
E che dire dei disastri provocati dalla zona industriale di Marghera e dal Canale dei Petroli, causa prima dell’Acqua Alta così ricorrente durante gli inverni veneziani? Gli ingegneri del Magistrato alle Acque della Serenissima sicuramente si rigirano nella tomba per l’incapacità di prevedere i danni e di rimediare agli errori!
Finito di fare il Sior Brontolon? Sì, anzi vado controcorrente rispetto a tantissimi veneziani riguardo il Ponte di Calatrava, ha suscitato proteste e critiche in quanto non assomiglia a nessuno dei ponti di Venezia. Concordo, ma sinceramente è ambientato in un luogo come Piazzale Roma, degradato e anonimo, il ponte è attiguo a una costruzione pressochè diroccata, se proprio vogliamo è la cosa più bella che c’è in zona! U.B. ©2012