(da La mente irretita, Manni, 2008)
E adesso passerà chissà quanto
tempo. Non so neppure se torneremo
ancora a passeggiare là dove il ragazzo
nero ha fatto centro nel bidone con la sua
bottiglia di plastica accartocciata
e intorno a sé ha lasciato
giravolte insolenti e sorrisi e la sfrontatezza
che lo faceva giocare
a basket sulla strada. Era la strada dove
abbiamo comprato gli ultimi souvenir – l’Ottava
avenue, credo – e alle nove
di mattina cominciava il suo rimescolio che fino
alla sera non si sarebbe spento e anzi
neon e colori di insegne l’avrebbero
fatta vivere ancora; e noi ce ne stavamo bighelloni
davanti ai negozi a buon prezzo di piccole
svendite con gli ultimi dollari in tasca e monete
di nichel e di rame. È stato il sole negli occhi
che ci ha fatto perdere
di vista all’improvviso il ragazzo con l’indice
puntato al cielo mentre ancora
qualcuno festeggiava il suo centro con il pugno
alzato e la strada era in quel tratto diventata
un campo di passanti un po’ tutti g
iocatori di basket o tifosi oppure
semplicemente allegri. Altri saluti
non abbiamo dato e avuto prima di imboccare
la Dodicesima e poi Washington Bridge
fino alla Ottanta nord
e poi ancora via senza fissare
appuntamenti per nuovi
incontri, senza avere segnato sul diario – almeno
della mente – un’attesa, un ritorno e passerà
chissà quanto tempo prima di attraversare
di nuovo quella strada – l’Ottava
avenue, credo – e di vedere
vivere la città per così lunghi giorni
di giugno e così sconosciute vite e quel ragazzo
sarà un uomo e avrà inventato
altri giochi e avrà trovato altre strade e saranno
altre le allegrie e le sfrontatezze, lo sappiamo già,
e tornare sarà farsi
perdonare un non voluto tradimento.
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